De Capitani, il regista che capisce l'America

Teatro Elfo Puccini di Milano. La prima scossa me la dà il suono legnoso, appena impolverato, di una meravigliosa chitarra Gibson ES-335 alle prese con lacerti sonori legati alla musica di Ry Cooder.
La didascalia sonora non è, infatti, un contorno di questo bellissimo spettacolo, La discesa di Orfeo, tratto dal tormentatissimo testo del genio Tennessee Williams, dove il regista/dramaturgo - Elio De Capitani - lavorando su un registro brechtiano eretico e molto personale, de-costruendo e ricostruendo il testo in tutta la sua complessità, riesce a edificare una macchina teatrale capace di reggere a mio avviso pienamente e felicemente il confronto con quel nucleo poetico singolare, inimitabile, che addensa il mondo di Williams.
Nell'emporio dell'orribile Jabe Torrance, vecchio e morente, che come Giasone uccise un rivale sposandone poi la figlia (Lady Torrance) giunge un ragazzo bello e spregiudicato, Val, che dopo una gioventù violenta vuole sistemarsi, trovarsi un lavoro, lasciarsi alle spalle il passato selvaggio. Com'è prevedibile, però, il suo progetto è destinato ad abortire: troppa l'aria selvaggia che Val porta con sé, troppa la nostalgia che la sua barbarie desta nelle donne, troppa la diffidenza degli uomini.
I rischi che comporta la messa in scena di un testo così sono tanti: lo si può ridurre a un quadretto sull'immobile provincia americana, o perdersi in una vuota riflessione sul destino, o gettarla sulla metafora sessuale (circola molta omosessualità) senza cogliere il particolare rapporto che la parola di Williams stabilisce con la dimensione temporale.
De Capitani ha l'idea geniale di trasformare tutto il testo in una sorta di enorme didascalia, liberando le parole dalle azioni cui corrispondono e facendo risplendere il nucleo squisitamente narrativo dell'opera, perché è solo a partire da questa dimensione che, poi, se ne riguadagna il vero volto tragico, la «barbara dolcezza» di cui parla lo stesso regista.Eccellente l'interpretazione corale, che chiederebbe la citazione di tutti gli attori, parimenti bravi ed efficaci come un attore solo. Ricordo Cristina Crippa, Edoardo Ribatto, Elena Russo Arman, Corinna Agustoni, Luca Torraca, il cammeo di Debora Zuin, la chitarra di Alessandra Novaga.


Ma la mia ammirazione è soprattutto per Elio De Capitani, che a quasi sessant'anni non dà mai per scontato il proprio lavoro , assimilando linguaggi, soluzioni espressive, timbri sempre nuovi, dimostrando quanta serietà e quanta maturità occorrono a un artista per poter essere sempre giovane.

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