Per favore, evitate queste mostre

McCurry, Salgado, Maier, Battaglia: quante esposizioni identiche

Luca Beatrice

L e mostre costano e devono incassare. E allora si è scoperta un settore abbastanza redditizio, quella della fotografia che piace al pubblico: i classici. Da alcuni anni a questa parte un certo tipo di pubblico che non si accontenta più del moderno e cerca qualcosa di più attuale va in visibilio di fronte alle stampe (in gergo tecnico si definiscono exhibition copy, che possono essere state tranquillamente prodotte l'altro ieri tanto in pochi si accorgono della differenza) dei prezzemolini delle varie Leica, Kodak, Reflex, Nikon, esaltandosi perché i grandi artisti rifiuterebbero il digitale. Non bastasse questo, sono gli argomenti a commuovere tali intenditori: il terzomondo e la natura, la mafia e la solitudine nel quotidiano.

Un augurio per il 2020: che sia un anno sabbatico, senza mostre di Steve McCurry e Sebastiao Salgado, di Vivian Maier e Letizia Battaglia. In Italia ne abbiamo viste a decine, sempre le solite, sempre le stesse stampe, graffiate, mal incorniciate, stropicciate.

Attualmente di Steve McCurry abbiamo due mostre a pochi chilometri di distanza, Modena e Forlì. A metà gennaio ne aprirà un'altra a Monza. Una specie di neverending tour dylaniano che tra 2018 e 2019 ha toccato Palazzo Madama a Torino, il Mudec a Milano, Palazzo d'Accursio a Bologna, Villa Bardini a Firenze e il Castello Visconteo a Pavia. Immagine guida, ovviamente, il ritratto struggente della ragazza con gli occhi verdi che ha fortunatamente incontrato nel campo profughi di Peshawar in Pakistan, diventata icona assoluta tra reportage e glamour.

Analogo tormentone ci riserva Salgado, in particolare da quando Wim Wenders gli ha dedicato il documentario Il sale della terra. Tra Amazzonia, Genesi, Kuwait - i viaggi più gettonati del brasiliano- nell'ultimo biennio sue mostre ad Assisi, Ancona, Parma, Reggia di Venaria, Milano e al PAN di Napoli. Per il momento nulla in programma nel 2020 ma c'è da scommettere che qualcosa salterà fuori per quello che roboanti comunicati stampa definiscono «il più importante fotografo del mondo» (lo dicono anche di McCurry, sono almeno in due).

Il caso Vivian Maier da interessante è divenuto irritante. Sconosciuta o quasi in vita, dopo la morte (2009) c'è stata una giusta corsa alla riscoperta di questa geniale interprete della Street Photography che per mantenersi faceva la tata nascondendo in un cassetto le migliaia di scatti rubati nel poco tempo libero. Due libri usciti contemporaneamente in Italia nel 2018, e poi le mostre a Trieste, Castelnuovo di Magra, Bologna, Catania, Genova, Milano, Stupinigi vicino Torino, Pavia, Monza. Qualcuno ha avuto il buon senso di scrivere inflazionata dopo la quindicesima esposizione in due anni, e lo stesso si può dire per Letizia Battaglia senza negare minimamente l'importanza storica della coraggiosa reporter che fin dagli anni '70 si recava per prima e senza paura a immortalare i delitti di mafia.

Dopo il grande omaggio del Maxxi di Roma non c'è stato spazio o museo che non si sia sentito in dovere di ospitarne il lavoro: Palazzo Reale a Milano, Magazzini fotografici a Napoli, i Tre Oci a Venezia, e ancora Livorno, M9 a Mestre, il Pecci a Prato, Palazzo delle Esposizioni a Roma tra personali e collettive.

Meglio scegliere un piccolo museo, una pinacoteca semisconosciuta, di certo ne usciremo più felici.

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