Il film del weekend: "La battaglia di Hacksaw Ridge"

L'ultima opera di Mel Gibson è una sintesi degli opposti d'enorme impatto visivo: monumento alla truculenza del gesto bellico e inno luminoso alla non-violenza

Il film del weekend: "La battaglia di Hacksaw Ridge"

Mel Gibson torna dietro alla macchina da presa dopo dieci anni d'assenza e realizza un film di una dirompenza unica, "La battaglia di Hacksaw Ridge", che, tra le pellicole belliche degli ultimi anni, è forse la più impattante a livello visivo ed emotivo. Un viaggio all'inferno in cui lo spettatore si sentirà fisicamente in prima linea.
"La battaglia di Hacksaw Ridge" racconta di Desmond Doss (Andrew Garfield in un ruolo in qualche modo affine a quello del recente "Silence"), il primo obiettore di coscienza della storia dell’esercito americano. Dopo un'infanzia e un'adolescenza trascorse in Virginia, a contatto con la violenza domestica (straziante e intenso Hugo Weaving nei panni del padre, ex veterano di guerra che cerca di affondare i demoni del passato nell'alcol), Desmond sviluppa una fervente religiosità e decide che non toccherà mai un'arma in vita sua. Questo non gli impedisce di arruolarsi, durante la Seconda Guerra mondiale, come soldato soccorritore. Commilitoni e superiori lo vedono come un nemico interno ma avranno modo di ricredersi quando il ragazzo raggiungerà il campo di battaglia. Quel che avverrà nel corso della terribile battaglia di Okinawa, sul fronte del Pacifico, varrà a Doss il massimo riconoscimento militare.
Quanto ricostruito da Gibson è la storia vera di un uomo che arrivò a rischiare la Corte Marziale e la prigione pur di non rinnegare mai le proprie certezze, ancorché irrise e condannate duramente. La prima parte del film, con tanto di addestramento alla "Full Metal Jacket", è un lungo preludio alla seconda, interamente dedicata invece allo scontro bellico, la cui maestosa crudezza richiama l'incipit di "Salvate il soldato Ryan" di Spielberg.

"La battaglia di Hacksaw Ridge" è un ossimoro di celluloide: un allestimento barocco di violenza, atto a portare in trionfo il concetto di pacifismo. E' in nome della non-violenza, infatti, che si fa mostra di un orrore insostenibile e straziante, fatto di corpi mutilati, esplosioni e di una mattanza senza fine.
Gibson mostra una lucidità registica indubbia nella spettacolarizzazione della guerra: le scene sono girate a meraviglia e quasi con compiacimento. E' come se ci trovassimo di fronte ad un monumento al gesto bellico e, assieme, alla fede, intesa non necessariamente in senso cristiano. Il protagonista assume tratti cristologici, è vero, nel suo essere armato solamente dei propri principi ma il suo coraggio e il suo senso di sacrificio hanno una forza, anche esemplare, che va ben oltre la sua professione religiosa o il suo amor patrio.
"La battaglia di Hacksaw Ridge" inizia come il ritratto di un pacifismo radicale per poi assumere sempre più i contorni di una riflessione sul potere dei nostri valori interiori e della loro risonanza con qualcosa di altro da noi, sia esso inteso come universale o divino. E' il racconto di come anche la pietas di un solo uomo basti, con la sua luce, a squarciare la tenebra della ferocia disumana.

Se le nomination all'Oscar, (il film ne ha conquistate sei importanti), costituiscano il perdono di Hollywood a certe

intemperanze politicamente scorrette di Gibson (gridò frasi antisemite, da ubriaco, a un agente), poco importa: nessuna vecchia gogna mediatica ai danni del regista poteva delegittimare la sua opera dal meritare quelle candidature.

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