Dopo quattro anni di silenzio, Nanni Moretti torna con un nuovo film, "Mia madre", che è uscito in circa quattrocento copie e sarà in concorso all'imminente Festival di Cannes. Si tratta di un'opera che presenta molti elementi autobiografici e nasce dall'esperienza dolorosa della morte della madre che il regista ha vissuto nel periodo del montaggio di "Habemus Papam". Il soggetto, per quanto abbia visto coinvolte ben quattro persone alla sua stesura, è piuttosto semplice. Margherita (una bravissima Margherita Buy) è una regista che si divide tra il set, dove è alle prese con la direzione di un film sull'occupazione di una fabbrica e con protagonista un'indisciplinata star americana (John Turturro), e il capezzale della madre morente (la grande attrice di teatro Giulia Lazzarini), al quale si alterna col fratello Giovanni (lo stesso Moretti). Come se non bastasse, la donna sta uscendo da una relazione e ha una figlia tredicenne (Beatrice Mancini) da seguire. Inutile dire che, nonostante il dolore sia raccontato in maniera sobria, asciutta e mai emotivamente ricattatoria, il contenuto della pellicola resta sensibilmente toccante in maniera universale: la perdita di un genitore, che sia avvenuta o sia ancora una proiezione futura, è uno degli eventi ineluttabili della vita e sarà difficile nello spettatore non trovare assonanze, durante la proiezione, con la propria storia personale.
Chi ha sperimentato l'elaborazione di una morte annunciata con un breve margine di preavviso come quella del film, si sentirà di casa con il senso di impotenza messo in scena dai protagonisti; conoscerà già la voglia, umana eppure illogica, di forzare un fisico che non è il suo a provare ancora ad andare avanti, e avrà già nitida da qualche parte nella mente l'immagine di scatoloni pieni di effetti personali di qualcuno che non c'è più. In alcuni lo struggimento resterà muto, in altri si scioglierà in lacrime. Pensare la pellicola sia incentrata sul tema del lutto però sarebbe un errore, perché c'è davvero altro, soprattutto inerente al mestiere di fare cinema e agli effetti collaterali che può avere su una personalità come quella del regista in questione. Il personaggio interpretato dalla Buy, evidente alter-ego di Moretti, di cui ricalca tic e insicurezze, ha spesso un rapporto alterato con la realtà, è perso nei suoi pensieri al punto da non cogliere molto di quel che accade attorno e l'inadeguatezza che ne deriva è ciò che più caratterizza la sua esistenza. Margherita è come sospesa tra illusione e verità, assorbita dalla finzione del set e dai capricci della star di turno mentre la sua vita privata scivola via; è sempre altrove con parte di sé e manca di concentrazione; non conosce più gioia e passione ma stanchezza e pressappochismo sia nel lavoro sia nei rapporti interpersonali. Sono vari i momenti d'impronta psicanalitica: da quello in cui si mette alla guida dell'auto materna, a quello in cui ha la casa allagata, al sogno in cui ripercorre a ritroso la fila fuori da un vecchio cinema. Tra le cose più apprezzabili del film, il fatto che lo spettatore si trovi di fronte a scene che non capisce se abbiano matrice onirica, mnemonica o reale.
Per squarciare l'atmosfera plumbea e regalare istantanee buffe, qua e là compaiono siparietti messi in atto da un Turturro in gran forma, il cui personaggio cialtronesco ed esuberante ha la funzione di diversivo. Non siamo davanti a un capolavoro d'arte cinematografica e neppure al miglior film di Moretti. Commuove nel finale ma non scava dentro, non mostra cose inedite, non genera interrogativi, non educa, non ha un messaggio.
La sensazione è di trovarci nella storiella di spaccatori di pietre, cui viene chiesto cosa stiano facendo: il primo risponde "spacco pietre", il secondo "partecipo alla costruzione di una cattedrale" e il terzo "costruisco la casa di Dio". Ecco, Moretti, nel suo pur delicato racconto filmico, sembra indicare di essere diventato il primo, quello che ha perso lo scopo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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