Gaston Leroux, il maestro del "polar" popolare

Torna un classico del genere poliziesco nato per caso nella Parigi dei Fantomas e degli Arsenio Lupin

Nel 1907 Gaston Leroux (1868-1927) era un giornalista quarantenne del quotidiano Le Matin, con una giovinezza un po' dissoluta: orfano a vent'anni, aveva dissipato nel gioco d'azzardo la classica eredità di famiglia... Una breve esperienza d'avvocato, e quindi la conoscenza di leggi, codici e procedure, nonché una certa pratica di crimini e di criminali, gli era comunque servita nella successiva professione giornalistica, inizialmente cronista giudiziario nei grandi processi che alla fine dell'800 avevano sconvolto Parigi e la Francia: gli attentati dell'anarco-individualista Ravachol, la bomba lanciata da Auguste Vaillant alla Camera dei deputati, l'assassinio del presidente della Repubblica Carnot dopo un banchetto pubblico a Lione nel 1894...

Man mano che la sua popolarità cresceva, da cronista Leroux era diventato «grand reporter», come venivano chiamati gli inviati in giro per il mondo: era stato in Egitto, in Marocco, sul fronte russo-giapponese, nonché a Mosca e a San Pietroburgo durante l'abortita rivoluzione del 1905.

A Leroux il mestiere piaceva, «la più palpitante delle professioni» lo aveva definito. Gli piacevano di meno i direttori di giornale, in specie il suo, Maurice Bunau-Varilla, che nello stile dell'epoca spremeva i redattori sino all'osso, coniugava disinvoltamente pubblicità e informazione, metteva il giornale al servizio ora di questo ora di quel politico, moltiplicava le edizioni e aveva come motto «la rapidità dell'informazione».

Leroux, che negli anni aveva raccolto i suoi articoli migliori in libri e possedeva un'ambizione, frustrata, per il teatro, a un certo punto decise di dire basta: «Scriverò un romanzo» disse a un collega dopo che il suo dramma La maison des juges, era stato un fiasco al botteghino. Il mistero della camera gialla nacque così, per insoddisfazione e per sfida, e fu un successo clamoroso che fece del suo autore un maestro del polar popolare, e del suo detective, Rouletabille, uno di quei nomi destinasti a restare.

Adesso Il mistero della camera gialla torna in libreria (Ponte alle Grazie, pagg. 328, euro 16,80) nella nuova traduzione di Benedetta Marietti e un'esemplare introduzione di Alessandro Robecchi, giallista di lungo corso e quindi particolarmente interessato a dar conto di ciò che in quel genere letterario Leroux ha portato di rivoluzionario: per esempio, che «le prove, le evidenze, le impronte, possono mentire». Il risultato è «un classico al quadrato», ovvero «così spudorato da permettersi la citazione, il confronto, e persino il dileggio, di altri classici». C'è un quasi delitto, la vittima resta solo gravemente ferita, ma è avvenuto in una camera ermeticamente chiusa, la «camera gialla» appunto, dove nessuno è potuto entrare... «Tutte le trace dell'assassino sono là, ma l'assassino è sparito». Come scrive Robecchi, «la costruzione è perfetta: il puzzle insolubile, la logica che si scontra con gli indizi, gli indizi che si mischiano alle prove, le intuizioni, le maledette coincidenze, le infinite pietruzze di Pollicino che Leroux stende lungo il cammino per guidare il lettore».

Facciamo un passo indietro, per capire meglio la personalità e il ruolo di questo scrittore, nonché del suo personaggio. A cavallo del '900, Parigi si ritrovò invasa di ladri gentiluomini e assassini mascherati, in un profluvio di travestimenti e rapimenti, dimore nobiliari e vicoli malfamati. Non che prima il crimine non avesse avuto la sua parte di celebrità, ma adesso sembrava essere tutt'uno con la società che lo metteva in scena, quella Belle Époque che da un lato esaltava i valori del lusso e dell'eleganza, e dall'altro rivendicava il primato dell'intelligenza e della scienza a petto degli istinti brutali dell'essere umano. In questo clima, e andando a occupare il posto della legge, perché quello del delitto era saldamente presidiato, andò a inserirsi una curiosa figura di giornalista-investigatore, il giovanissimo Joseph Josephin, detto Rouletabille, frutto, appunto, della fantasia di Gaston Leroux.

Nel giro di pochi anni e di tre romanzi (il già citato Mistero, Il profumo della donna in nero, Rouletabille e lo Zar) Leroux fece del suo eroe un alter ego, con tutte le carte in regola, degli Arsenio Lupin e dei Fantomas, quelli originali e quelli tarocchi, che si contendevano il mercato e la scena editoriale, forte anche di un'attenzione più mirata verso la razionalità investigativa e non la risoluzione improvvisa, imprevista, ma anche imprevedibile, del mistero che era alla base della storia.

Non che intorno a Rouletabille mancassero i colpi di scena, e del resto già il nome, anzi il soprannome, del suo protagonista, roule-ta-bille, tira la pallina insomma, dava un'idea del ritmo frenetico, in linea del resto con la pubblicazione in feuilleton delle sue gesta, dove ogni puntata doveva necessariamente finire con una rivelazione, un'agnizione, una maledizione. La frenesia però era messa al servizio del ragionamento e quest'ultimo era di fatto l'unico elemento con cui Leroux aveva caratterizzato il suo personaggio. Rouletabille non è né affascinante né tenebroso, non è elegante, tanto meno raffinato e neppure crudele. Niente insomma che lo possa far confondere con gli altri geni, anche in senso lato, del crimine allora in attività nella Francia letteraria, né con quelli nella stessa epoca popolari oltremanica, Sherlock Holmes, per citare il più celebre. Certo, le affinità sono maggiori con quest'ultimo, ma il francese non ha nulla dell'aplomb né della sicumera dell'inglese, tanto meno della sua onniscienza. È più naif, e però più vivo.

Una delle ragioni del fascino senza tempo dei romanzi di Leroux, forse la ragione per eccellenza, la coglierà bene Jean Cocteau mezzo secolo dopo quando, nel prefare Il mistero della camera gialla per l'edizione tascabile che ne confermava l'immortalità, osservò come Leroux fosse un autore «senza boria. Da questa assenza di boria deriva un'autenticità meravigliosa, un solido equilibrio tra l'enigma proposto e l'inclinazione a risolverlo».

In sostanza, e per concludere, Leroux non bara, non fa parodie, non mima un genere, è quella cosa lì, è popolare e insieme surreale, nel senso che Rouletabille e gli altri personaggi che nei suoi romanzi ritornano e si rincorrono, sono avvolti in un'atmosfera di sogno, descritti con ironica partecipazione, come se scorressero davanti all'autore.

In Leorux tutto è al servizio della storia, a cominciare dall'ingegnosità con cui essa viene costruita (Il misero della camera gialla è infatti un classico del genere). Leroux non posa a fare lo scrittore, non ci vuole far capire quanto è colto e quanto è bravo: è Rouletabille quello intelligente...

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