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Gene Tierney, la diva più sexy di Marilyn

«Lab 80» presenta una retrospettiva sulla dimenticata (e grande) attrice

Massimo Bertarelli

Altro che Marilyn, con tutto il rispetto. Gene Tierney è stata, ma aggiungiamoci pure «forse», la più bella tra le dive di Hollywood. Gene chi, si chiederà qualcuno. A rinfrescare la memoria ci pensa «Lab 80», meritevole fucina di proiezioni e rassegne, che da giovedì riporta nelle sale quattro classici restaurati, con Gene Tierney protagonista. La diva fragile s'intitola la retrospettiva, rievocando una carriera di alti e bassi e una vita infelice fra depressione, matrimoni falliti e una figlia malatissima. Per la cronaca, Gene Eliza Tierney nacque a Brooklyn da famiglia benestante e morì di enfisema a Houston nel 1991.

Dunque i quattro film, in ordine cronologico. Il cielo può attendere, del 1943, è una commedia brillante (aggettivo che le calza alla perfezione) del berlinese trapiantato a Hollywood Ernst Lubitsch. È la storia del maturo dongiovanni newyorchese Enrico Van Cleve, debitamente pentito (Don Ameche), che, conclusa la vita terrena, deve dimostrare a Belzebù di essersi guadagnato l'Inferno. Per farlo, riannoda la propria esistenza tra le tante donne amate. Prima della lista, la moglie Martha, ovvero la Tierney, per la verità mai tradita. E ci mancherebbe.

Ecco poi Vertigine, diretto nel '44 dal viennese, pure lui riparato a Los Angeles, Otto Preminger, avvincente giallo, in bianco e nero, dove Tierney incarna Laura Hunt, fascinosa pubblicitaria assassinata nel suo appartamento di Manhattan. Ma per fortuna dello spettatore riportata in vita da provvidenziali flashback, grazie ai quali il tenente Mark McPherson (Dana Andrews), abbagliato da un ritratto appeso alla parete, cerca di inchiodare Waldo Lydecker (Clifton Webb), il pigmalione della ragazza. Il terzo film, del 1945, è Femmina folle, fiammeggiante melodramma dello statunitense John Stahl, uno dei trentasei padri del premio Oscar. La storia di una donna, l'ereditiera Ellen Berent Harland (Gene Tierney, ovvio) incantevole e perfida, ossessionata dalla gelosia e capace di qualsiasi nefandezza. Di tutt'altra pasta, Il fantasma e la signora Muir, elegante commedia surreale in bianco nero, girata nel '47 dal polacco Joseph Mankiewicz.

Qui il malvagio personaggio di due anni prima si trasforma nella candida vedova Lucy, incerta tra lo spettro del capitano di marina Daniel Gregg (Rex Harrison) e il damerino in carne ed ossa Miles Fairley (George Sanders). Buona visione. E poi decidete se era meglio Marilyn.

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