Difficile trovare un modo diverso per raccontare un argomento già narrato infinite volte. E spesso male. Ma quello della memoria resta (sia detto senza retorica) un dovere. Potrebbe dunque rivelarsi interessante l'inedito spunto attraverso cui il soggettista e sceneggiatore Sandro Petraglia (uno specialista del genere: suoi i copioni di Perlasca, La tregua, La vita che verrà) ha costruito un nuovo racconto sulla Shoa e, più ancora, sulla stagione di sofferta rinascita che, nell'immediato dopoguerra, ne seguì. In La guerra è finita quattro serate da lunedì prossimo su Raiuno - fatti realmente accaduti nel comune lombardo di Selvino vengono liberamente rielaborati per scoprire i cosiddetti «orfani della Shoa»: cioè i bambini ebrei riemersi senza genitori dalla notte dei campi, e letteralmente soli in mondo che non era più il loro. A Selvino, «come del resto in molti altri luoghi d'Italia e d'Europa» (informa Petraglia) dopo la Liberazione persone di buona volontà si occuparono di questi «figli del nulla»: li ospitarono, li nutrirono, cercarono di far superare loro i traumi subiti, di aprire loro un possibile futuro. «I lager non sono raccontabili - analizza lo sceneggiatore -. Quelle magrezze, quelle sfinitezze, no: non sono filmabili. Anche per questo noi raccontiamo il dopo.
Un dopo colmo di dolore, certo, ma anche di speranza: da una parte un Paese che cerca di risollevarsi da macerie materiali e spirituali; dall'altra la scoperta di cose orribili, di cui le vittime non hanno la forza di parlare. Per il timore di non essere credute. O semplicemente per tentare di dimenticarle». «Ma non solo lacrime, anche sorrisi ci tiene a precisare il regista Michele Soavi - grazie allo sguardo dei bambini, che filtra il dolore e lo trasforma in gioia di rinascita». Ecco allora Davide (Michele Riondino), ex ingegnere che cerca figlio e moglie deportati; ecco Giulia (Isabella Ragonese), che vuole colmare il senso di colpa d'essere figlia d'un collaborazionista; ecco Ben (Valerio Binasco), ex ufficiale della Brigata Ebraica che spera di condurre in Palestina i giovanissimi ebrei dispersi. I tre raggruppano in un casolare abbandonato ragazzi di varie età. E tentano di ricondurli alla vita ricostruendo, al tempo stesso, le proprie vite spezzate. «Abituati a sentir raccontare la Shoa dalle voci anziane di chi l'ha vissuta considera Riondino - qui invece la ripercorriamo quasi in diretta, grazie alle voci pulite e inconsapevoli delle vittime ancora giovani».
Certo: i responsabili di La guerra è finita non si nascondono difficoltà (e rischi) del progetto. «Una storia simile in prima serata su Raiuno? si chiede il direttore di Raifiction, Andreatta -. È certo una sfida. Ma necessaria». Vorrei che si potesse seguirla confida la Ragonese - nella posizione di chi l'ascolta per la prima volta». «La memoria, se non la racconti, non esiste», riassume Soavi.
Mentre Carlo Degli Esposti, produttore, nota la tragica coincidenza con i venti di guerra Iran-Usa: «Ma andare in onda proprio nel momento in cui potrebbe scoppiare un nuovo conflitto, può rappresentare un monito». Gli ascolti? Non lo preoccupano: «Saranno un po' il termometro del Paese. Vent'anni fa con Perlasca facemmo il 45,5 per cento. Oggi l'Italia è cambiata. Ma io resto ottimista».
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