È stato inaugurato a inizio agosto al Forte di Bard, in Valle d'Aosta, il primo di quattro viaggi iconografici e scientifici alla scoperta dei ghiacciai dei principali Quattromila della regione e fra i più significativi italiani. La rassegna, intitolata «L'Adieu des glaciers», concluderà questo capitolo iniziale il 6 gennaio 2021 ed è dedicato al Monte Rosa.
Il ghiacciaio, protagonista negli ultimi anni di tanti studi storici, comparazioni fotografiche e ricerche scientifiche, nei lunghi inverni remoti stringeva nella sua morsa di gelo le popolazioni montane, immobilizzava i laghi e i fiumi, e poi a fasi cicliche spariva e tornava imperioso. Ora sembra inequivocabilmente battere in ritirata, con un'evidente trasfigurazione sul volto della Terra. Quante volte, nei ricordi di molti alpinisti e nei vecchi album fotografici, riaffiorano immagini di una montagna visitata nella seconda metà del Novecento che, se confrontate con la realtà odierna, mostrano arretramenti consistenti delle masse glaciali, se non la loro scomparsa? Forse la spettro temporale di queste tracce soggettive della memoria non è sufficientemente esteso per poter avere un valore scientifico. Ed è qui che intervengono operazioni come quella intelligentemente messa in campo ora.
Ecco quindi che il più autorevole complesso museale della regione Valle d'Aosta, montana per eccellenza, ha deciso di dedicarvi un percorso quadriennale cominciato con un focus sulla montagna più mastodontica per estensione dell'intero arco alpino, con il maggior numero di cime sopra i quattromila metri. Un viaggio iconografico e scientifico per raccontare la storia delle trasformazioni dei ghiacciai. È questo il cuore del progetto «L'Adieu des glaciers», che si traduce in un approfondito lavoro di studio attorno al Monte Rosa, al Cervino, al Gran Paradiso e al Monte Bianco che ha coinvolto numerosi enti e istituzioni. Per la mostra sul Monte Rosa il Forte di Bard si è affidato, quanto alla cura degli aspetti fotografici, a Enrico Peyrot, fotografo e ricercatore storico-fotografico e, per gli aspetti scientifici, a Michele Freppaz, professore del Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell'Università di Torino.
I ghiacciai rispondono in modo diretto al cambiamento climatico modificando massa e morfologia: «progressivo arretramento delle fronti glaciali - scrivono i curatori - incremento delle zone crepacciate, formazione di depressioni e di laghi sulla superficie, aumento dell'instabilità di seracchi pensili». Dal termine della Piccola Età Glaciale (fase di espansione dei ghiacciai alpini protrattasi dal 1300 al 1850 circa), la superficie dei ghiacciai dell'arco alpino si è ridotta di circa due terzi. Dagli anni '80 a oggi la superficie dei ghiacciai italiani si è ridotta del 40 per cento, mentre il numero dei ghiacciai è aumentato a causa dell'intensa frammentazione dei ghiacciai più grandi che si dividono in singoli ghiacciai più piccoli. Monitorare le variazioni glaciali consente da un lato di documentare l'impatto dei cambiamenti climatici e dall'altro di valutarne gli effetti sul territorio, con particolare attenzione agli elementi di fragilità che contraddistinguono le aree montane.
Articolata in 9 sezioni, da «Angelo Mosso: lo studioso della fisiologia umana a grandi altezze» a quella
dedicata al «Trofeo Mezzalama», la mostra, oltre agli inevitabili e importanti riferimenti glaciologici, offre un ampio ventaglio tematico che non trascura anche aspetti storico-alpinistico-sportivi e scorci di vita privata.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.