"Joker", un grande film e i pericoli dell'empatia

Un'opera che non solo riscrive il confine tra cinecomic e cinema d’autore ma ipotizza come la violenza nasca da un cortocircuito sociale prima che interiore.

"Joker", un grande film e i pericoli dell'empatia

Dopo aver vinto meritatamente il Leone d'Oro all'ultimo Festival di Venezia, "Joker" di Todd Philips, un film che definire cinecomic sarebbe riduttivo e fuorviante, è sbarcato nelle nostre sale.

Narrativamente costituisce un'origin story inedita del più celebre dei nemici di Batman ma, nel complesso, punta molto più in alto, ponendosi come una riflessione autoriale sulla genesi della violenza ai giorni nostri.

Siamo a Gotham City nel 1981. E' in questa città allo sbando, tutta sporcizia e malessere sociale, che vive Arthur Fleck (Joaquin Phoenix). L'uomo lavora come clown per un'agenzia, divide l'abitazione con la madre e sogna di diventare uno stand-up comedian. E' un emarginato con problemi psichici e candore fanciullesco che ha convogliato il senso di inadeguatezza nei confronti del mondo in un disturbo psicosomatico: una risata sofferta e isterica che scoppia ogni volta in cui si sente a disagio. Pur continuando ad avere fiducia nel domani, Fleck è sempre più umiliato, deriso e solo. Arriverà a un punto di rottura oltre il quale perderà il contatto con la realtà, trasformandosi da disadattato gentile a essere spietato.

Philips, regista avvezzo alla commedia, rivela di saper gestire benissimo il registro tragico. Del resto proprio l'incipit del film, nella scena allo specchio, indica quanto sia breve la distanza da un'espressione felice a una triste e come siano strettamente legate. Phoenix è eccezionale nel rendere fisicamente l'intera mutazione del personaggio e, per quanto la figura di Joker sia stata impersonata da attori del calibro di Jack Nicholson, Jared Leto e Heath Ledger, è probabile che questa versione resterà nell'immaginario collettivo come quella definitiva.

Da spettatori siamo coinvolti nello straniante stato allucinatorio vissuto da un uomo che è considerato invisibile o al massimo un freak e che, a un certo punto, non avendo più nulla da perdere, sviluppa un superpotere: niente può ferirlo. In lui la volontà criminale si nutre di sofferenza e nasce in seno ad un habitat sociale che fa dell'ingiustizia la sua normalità.

Col fisico emaciato da una solitudine affamante e le espressioni del volto distorte quanto le percezioni della mente che le muove, il Joker di Phoenix disturba perché nel suo trasfigurare verso il male esprime a lungo una richiesta di aiuto. La caratterizzazione profonda del personaggio e la cornice iperrealistica in cui è collocato rendono più che plausibile immedesimarsi nei panni del protagonista. Chi almeno una volta non si è sentito ostaggio di illusioni e disillusioni? Chi non si è disegnato in faccia un sorriso di comodo per affrontare la commedia della vita e chi, infine, non ha sognato di dettarne le regole?

"Joker", denso di riferimenti agli scorsesiani "Re per una notte" e "Taxi Driver", racconta il disagio vissuto da molti ai nostri giorni, la tragedia di chi si trovi ad avere un animo sensibile in un mondo spietato e come la violenza abbia spesso nell'ingiustizia sociale il proprio humus. Il problema è che si tratta di un film che denuncia uno stato di cose in maniera descrittiva, senza porre soluzioni e, soprattutto, che fa solidarizzare per quasi un paio d'ore con qualcuno che però, nel finale, diviene il simbolo di una violenza dagli ideali anarchici. Questo lo rende un'opera dal fascino potenzialmente pericoloso, una polveriera pronta a esplodere nella mente di soggetti disturbati.

Comprensibile, in tale luce, che oltreoceano il suo arrivo nelle sale desti grande preoccupazione: nessuno ha dimenticato il precedente del 2012, quando in Colorado vennero uccise 12 persone durante una proiezione de “Il cavaliere oscuro – Il ritorno” e il killer disse di essersi immedesimato in "Joker".

Sono i limiti dell'empatia: nei soggetti cosiddetti sani rende comprensibili i meccanismi di un processo psicologico, in quelli malati rischia di destare la spinta all'emulazione.

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