Nell'estremo Ponente ligure, ma anche a Tellaro, nell'estremo Levante, e a Roma, dalle parti della gloriosa baracca dove viveva l'indimenticabile Valentino Zeichen, o nell'Abruzzo dell'interno, suo luogo d'origine, si può vederlo vagabondare, stracciato, abbronzato, barcollante, aitante: è Lamberto Garzia, il poeta. L'ultimo maledetto in Italia, un tipo che dovrebbe piacere a Aurelio Picca, almeno credo.
Già autore di un formidabile, originalissimo libro di versi tra eros e arti marziali orientali, Shai e Ai - Combattimento e amore (Effigie, 2014), ora Garzia pubblica un libro che sin dal titolo, «dadi nascosti» - Capped dice (Betti, pagg. 525, euro 25) - non saprei dire a che genere appartiene: diario, inchiesta, critica, documentario, romanzo, auto-fiction, non-fiction, un libro che prende il lettore e gli infila la testa in un turbine, lo attrae come una ventosa, lo schiaffeggia con amore e rabbia, gli sputa addosso, lo indispone, lo fa ridere sino a singhiozzare.
Il punto centrale è la presenza per sei anni di Tommaso Landolfi nella città dove Garzia abita, Arma di Taggia, a pochi chilometri da Sanremo e dal Casinò dove lo scrittore dissipava i ricchi anticipi che gli pagava la Rizzoli di allora. Garzia indaga su questa presenza, ma indaga a suo modo, con visionarietà e con un tanto di follia. Un altro filone di indagine riguarda il famigerato «delitto del bitter», un fatto di cronaca degli anni Sessanta che sconvolse la cittadina di Arma ed ebbe, come Garzia mostra con ampi stralci di articoli di Oriana Fallaci, una grande eco nazionale. Un delitto con al centro una donna capace di rivendicare già a quei tempi una sua libertà di costumi. Avranno mai incrociato Landolfi lei e Gianni Morandi, in quegli anni militare ad Arma? E poi c'è il tema delle arti marziali, di cui Garzia è cultore: grande metafora della vita e dell'incontro-scontro amoroso, in cui Garzia si sceglie dei maestri (O' Sensei) orientali e uno occidentale, che è Antonio Franchini, di cui vengono qui saccheggiati libri come Gladiatori, Quando vi ucciderete, maestro? e Cronaca della fine. Mentre cerca le tracce di Landolfi, Garzia incontra il mondo: il poeta Alessandro Ceni, autore di una recente bellissima traduzione dell'Ulisse di Joyce uscita da Feltrinelli qualcosa di joyciano c'è in questo exploit letterario polimorfo, debordante, osceno, che punta a una sua illeggibilità, a uno sperimentalismo, ma scanzonato e vitalissimo. E poi Valentino Zeichen, Matteo Garrone, Franco Cordelli, Renzo Paris, Attilio Bertolucci, Mario Soldati, Italo Calvino e l'Ingegnere, Filiberto Lodi, ferrarese trasferito a Sanremo, elegantissimo coureur de femmes, che di mestiere faceva l'amico degli scrittori. Con lui, e sua figlia Letizia, storica dell'arte, Garzia si riavvicina a Landolfi.
Chi scrive questa nota è citato nel libro con disinvolta irriverenza, e forse è l'unico che fornisce una testimonianza diretta su Landolfi al Casinò, quel pomeriggio che giocò in contemporanea su tre tavoli tre banconote da centomila di allora, un piccolo capitale, che perse in un attimo. Ma il personaggio che tiene unito questo materiale difforme è lui, l'autore.
È la sua umanità dissipata e cavalleresca, la sua (nascosta) pietà e la sua poesia. Non a caso il libro termina con dei versi, intitolati Al mio funerale che poi è quello della propria madre, in un insieme di commovente, quasi straziante verità.
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