L'arte fra complotto e plagio

Il pensiero che non diventa azione avvelena l'anima: titolo alquanto criptico per il progetto artistico di Eva Frapiccini sulla cui opportunità in questi giorni si sta molto discutendo. Parte di questo lavoro è una specie di «mappa concettuale» che studia investigazioni e strategie contro la mafia. Graficamente l'opera mette sullo stesso piano buoni e cattivi, assassini e vittime, fatti di cronaca e politici corrotti, anche se a consultare la legenda qualche lieve differenza c'è. L'artista marchigiana (in passato le riuscì un lavoro molto bello, una serie fotografica sulle strade in cui caddero le vittime del terrorismo) è inserita nella mostra «Real Italy», ospitata dal Maxxi a Roma fino al 26 aprile insieme ad altri tredici entrati a far parte della collezione. C'è chi - come Angelo Argento, presidente di Cultura Italiae - ci ha visto una grave offesa alla memoria dei tanti morti di mafia durante la prima Repubblica con la Democrazia Cristiana unico partito coinvolto in questa discutibile analisi, arrivando a chiedersi con quale criterio lo Stato abbia deciso di supportare e finanziare un progetto di cui sono chiaramente sbagliati il contenuto e la forma. Giudicare un'opera d'arte con il metro dell'etica non è mai completamente giusto, ma è nulla di fronte all'errore grossolano di Eva Frapiccini, non informata sull'esistenza di Mark Lombardi, artista americano attivo negli anni '90 che con un analogo sistema di grafici ipotizzava relazioni tra presidenti americani, terroristi internazionali, compagnie petrolifere, mercanti d'armi e alta finanza. Lombardi disegnava veri e propri reticoli, le Narrative Structures, in cui evidenziava le sue teorie complottiste con tanto di nomi e cognomi, flussi di denaro e di azioni. Il corpo dell'artista venne ritrovato impiccato nel 2000, probabilmente suicida, anche se qualcuno sostenne che dietro questa improvvisa morte, a soli 49 anni, ci fosse stata addirittura la mano dell'Fbi, che arrivò persino a ritenere oggetto di indagine alcuni suoi disegni esposti al Whitney Museum dopo l'11 settembre. Magari si sta parlando di una figura non così nota al grande pubblico, ma certamente un artista che intenda cimentarsi in un lavoro del genere ha il dovere di informarsi.

E ciò vale a maggior ragione per critici e direttori di museo. Qui si configura il plagio, nessuno verrà a reclamare qualche diritto di primogenitura ma l'ignoranza, in molti casi, è molto più grave di una superficiale provocazione.

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