L'arte contemporanea? Lascia gli scrittori senza parole (giuste)

Molti autori citano nei loro libri il mondo dell'immagine. Ma senza capirlo a fondo

L'arte contemporanea? Lascia gli scrittori senza parole (giuste)

Generalizzare non è mai corretto in qualsiasi discorso, però c'è il dubbio che gli scrittori e gli intellettuali quando si confrontano con l'arte in special modo quella contemporanea- sbaglino completamente metodo e approccio. Un'edulcorata parafrasi per dire che eccelsi letterati di arte non capiscono niente o quasi.

Molti ricorderanno che Vittorio Sgarbi nel 2011 ebbe l'idea di subaffittare il Padiglione Italia ai grandi nomi della nostra cultura, chiamati a scegliere loro gli artisti anziché il curatore professionista. Se gran parte degli inviti risultò balzano lo si dovette proprio a quello scollamento tra la percezione di chi fa il sistema e il gusto personale di chi di basa ancora su criteri piuttosto aleatori, come la bellezza, o comunque non facilmente identificabili.

Mi pare proprio che di questi tempi la letteratura faccia ancor più fatica a capire i linguaggi visivi del presente. E non si tratta né dell'ennesimo ritorno di Cattelan in forma di banana né del clochard/babbo natale secondo Banksy, semplici episodi di cronaca. Gli scrittori che non comprendono l'arte di oggi si rivolgono a quella del passato soffermandosi più che altro su quadri e pittori, il che va benissimo per carità ma anche nel 2019 c'è chi dipinge cose molto interessanti, non c'è bisogno di ricorrere ogni volta a Lucian Freud. Einaudi ha appena tradotto e pubblicato Julian Barnes alle prese con la critica (o meglio con la prosa) d'arte, nel volume Con un occhio aperto. Letteratura piacevolissima, ricca di aneddotica, in un percorso che va da Gericault e arriva a Howard Hodgkin, l'astrattista molto amato dagli scrittori perché i suoi quadri «parlano ai miei occhi, al mio cuore, alla mia mente. Perciò, basta con le parole». L'osservazione è banale e infatti non c'è pittore modesto che non la farebbe sua, soprattutto quando i suoi quadri non hanno nulla da dire.

Barnes rivela di essere cresciuto in una casa dove le opere alle pareti rappresentavano un gusto tradizionale da cui era necessario liberarsi per comprendere la differenza tra uno stucchevole acquerello e i grandi autori dell'Ottocento, Delacroix, Courbet, Manet. Individua, con assoluta ragione, la svolta della modernità in Cezanne. Comprende la rivoluzione cubista in Braque più ancora che in Picasso. Ma non gli piace la Pop Art banalizza le Soft Sculptures di Oldenburg- e quando arriva al sensazionalismo della YBA quasi ci fa credere che quella non sia arte. Insomma, Barnes commette lo stesso errore di molti scrittori: non riesce a trovare nel contemporaneo qualcosa che lo attragga come le avanguardie digerite da oltre un secolo.

Pezzi da museo è invece la gradevole raccolta per Sellerio in cui ventidue scrittori raccontano altrettante collezioni. Nomi importanti come Roddy Doyle, Ali Smith, Alan Hollinghurst, William Boyd, e lo stesso Barnes. Sono accomunati da scelte che non hanno a che fare con il museo contenitore del XXI secolo, da luoghi piccoli, sfiziosi, spesso lontani dalle grandi città in cui non capiterà mai la sgradevole esperienza di essere arrivati fino al Louvre per la Gioconda senza riuscire a vederla a causa del tappo provocato dalla ressa dei turisti. Nell'introduzione Nicholas Serota, che è stato direttore della Tate Modern fino al 2017, sottolinea il significato dell'esperienza della visita per riflettere e contemplare: «in un mondo dominato dal commercio e dalla mercificazione, dalla moda e dalla novità, i musei sono diventati posti in cui i valori resistono».

Fin qui tutto bene. Però lo sguardo, ancora una volta si rivolge al passato, perché la storia dà sicurezza e nessuno pare avere voglia di cercare qualcosa di significativo nel presente, o più probabilmente di saperlo leggere.

Eccoli dunque alcuni di questi luoghi di pellegrinaggio d'antan: il Musée Rodin a Parigi, l'Opificio delle Pietre Dure a Firenze, la Frick Collection a New York, Thorvaldesen museum a Copenaghen, il Prado a Madrid e il Leopold a Vienna (peraltro giganteschi) cui va aggiunto il tocco snob del museo degli ABBA a Stoccolma, visitato da Matthew Sweet.

Perdendoci nella piacevolezza di queste pagine, permane però il dubbio che l'arte contemporanea non la sappia raccontare la letteratura di oggi. In altri tempi questo non accadeva.

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