Pubblichiamo per gentile concessione delle Edizioni Settecolori un estratto di Supervagamondo di Stenio Solinas che sarà in libreria dal 21 ottobre. Supervagamondo è un diario di bordo e insieme la mappatura di una particolare geografia politica, intellettuale e sentimentale, fatta di incontri, nomi, luoghi. Ci sono la Russia della Rivoluzione e quella attuale, con la crisi ucraina come sottofondo, ennesimo capitolo di una storia che non sembra trovare la sua conclusione.
Quello fra Russia e Ucraina, si sa, è un rapporto plurisecolare complesso e insieme contorto. Gogol ambienta il suo Taras Bul'ba nel XV secolo, quando il cosacchismo e lo Stato franco di Zaborigia incarnano contemporaneamente l'anima russa e la terra ucraina e nel supplizio che lo vede crocefisso e bruciato vivo dai cattolici polacchi è proprio Taras a gridare fra le fiamme: «Ci sarà un tempo in cui imparerete a conoscere che cosa è la religione russa ortodossa! Già fin da ora lo sentono le nazioni lontane e vicine: sorgerà dalla terra russa il suo Zar, e non ci sarà al mondo forza che non si umili davanti a lui!...». La Rivoluzione d'Ottobre sarà la prima vera occasione concessa all'Ucraina di liberarsi dall'abbraccio dello zarismo, ma la Repubblica autoproclamata mentre l'Impero si dissolve verrà poco dopo sconfitta dal nuovo imperialismo bolscevico che ne ha preso il posto. La seconda occasione sarà al tempo dell'invasione tedesca, che l'Ucraina accoglierà con la gioia di chi dalla Rivoluzione ha avuto in cambio lo sterminio dei kulaki e una carestia l'holodomor, voluta e programmata da Stalin e che l'ha lasciata piena di morti... Solo la stupidità del nazismo, il disprezzo antropologico per la razza slava, riuscirà nell'impresa di fare dell'Ucraina un bastione della resistenza russa contro Hitler. Nell'attuale scontro russo-ucraino, è il nazionalismo a permeare la resistenza dell'Ucraina, una resistenza patriottica in nome dell'indipendenza e della libertà in casa propria, più che l'Occidente in senso lato e la democrazia in senso stretto.
Del resto, più la guerra va avanti e più viene fuori che nell'ultimo decennio l'Ucraina si è illusa e/o è stata illusa, che una svolta filo occidentale, del resto favorita e caldeggiata oltreoceano, armamenti, istruttori militari sul campo, linee di credito, la mettesse al riparo da un vicino di confine che vedeva via via stringersi intorno il cordone sanitario di una Nato sempre più bulimica e baldanzosa. E viene altresì fuori, in quella che si rivela essere anche una guerra per procura, la realtà di una nazione sacrificata come cavia e/o cavallo di Troia con cui saggiare la Russia come potenza e cercare di verificarne l'eventuale punto di rottura. Un gioco al massacro in cui nessuno si preoccupa degli scenari futuri, tutto preso com'è dall'obiettivo immediato. Che non è tanto (o solo) la sovranità dell'Ucraina, ma la messa sotto scacco della Russia in quanto grande potenza.
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Negli anni Settanta del secolo scorso uscì in Italia per un piccolo editore controcorrente, Fògola, a opera di un giornalista e scrittore controcorrente, Piero Buscaroli, Lettere dalla Russia, di Astolphe Louis Léonor de Custine, un grande classico della russofobia, ma anche un testo che a un secolo e passa dalla sua uscita, il 1843, si dimostrava di sconcertante attualità. In quegli anni, l'Urss aveva il suo ultimo sussulto imperiale in un Afghanistan passato in uno stretto arco di tempo e sempre attraverso colpi di Stato dalla monarchia alla repubblica, dalla repubblica alla occupazione manu militari. Per una curiosa eterogenesi dei fini, l'Urss comunista invadeva un Paese islamico in difesa della modernizzazione e del progresso di stampo occidentale, e l'Afghanistan, con i suoi mujaddin, il suo jihad, il suo tribalismo e i suoi signori della guerra diveniva un alleato dell'Occidente in funzione anticomunista, e come tale militarmente equipaggiato e rifornito... Quello che è successo dopo è ancora sotto i nostri occhi, un quarantennio pressoché ininterrotto di guerre interne e di invasioni, di occupazioni e di ritirate, il tutto accompagnato da una retorica bellico-democratica tanto più fragorosa e ipocrita nelle sue giustificazioni, quanto cinica e velleitaria, perché sconfitta, alla prova dei fatti.
All'indomani dell'invasione sovietica, Bruce Chatwin scrisse quel suo Lamento per l'Afghanistan («Non torneranno in vita le cose che abbiamo amato») che letto oggi suona profetico («...non saliremo sulla testa del Buddha di Bamyan, dritto nella sua nicchia come una balena in un bacino di carenaggio») lì dove cause e effetti hanno smesso di seguire una logica, superata da una distruzione divenuta endemica...
Frettolosamente e poco importa se con un senso di colpa oppure no, ci siamo lasciati alle spalle un Afghanistan terra bruciata e terra desolata. Non è la prima volta: nemmeno vent'anni fa accadde lo stesso con l'attacco della Nato contro la Serbia, «un imperativo morale», secondo l'allora presidente americano Clinton per giustificare un'aggressione che non aveva precedenti, «l'ingerenza umanitaria» fatta bombardando dall'alto, la cosiddetta «guerra a zero morti» per chi bombardava, con un'Europa sonnambula, una bella definizione di Régis Debray, che mentre continuava a parlare di «costruzione europea» collaborava attivamente alla distruzione di un Paese europeo... Oggi, per poter dire che è quella in Ucraina la prima guerra che ha di nuovo il Vecchio continente come campo di battaglia, si fa finta che la Serbia non sia mia esistita. Un brutto sogno, insomma.
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C'è dunque di questi tempi un «Lamento per l'Ucraina» di cui negli anni a venire si potrà valutare la sincerità e la durata, a seconda di come la guerra evolverà, dei sacrifici e dei compromessi che le parti direttamente in causa saranno disposti ad accettare, del realismo o dell'avventurismo geopolitico di chi sta da una parte o dall'altra del conflitto... Una guerra di cui, con la tipica miopia eurocentrica di chi fa finta di non accorgersi che gli equilibri del mondo sono cambiati, si costruisce lo schema di una Russia del tutto isolata, quasi che l'Africa, la Cina, il subcontinente indiano, eccetera, eccetera, l'elenco è infinito, avessero l'Ucraina stampata nei loro cuori... Ed è difficile non accorgersi di come sotto la superficie della propaganda ufficiale e occidentale con cui si trasforma un conflitto difatto locale in uno scontro epocale fra il Bene e il Male, il moto di simpatia verso l'aggredito ucraino non vada al di là di una solidarietà anche fattiva, ma che non ce la fa a trasformarsi in scontro di civiltà, in guerra contro la Russia costi quel che costi...
«L'aggredito ucraino»... A un mio vecchio amico, di cui ho grande stima, non piace il mio aver definito la putiniana «operazione militare», una «guerra di aggressione»... Confesso che il nominalismo in materia non mi appassiona, e pur comprendendo il perché di quella critica fatico a trovare un'altra definizione che comunque fotografi meglio la realtà. Del resto, è proprio perché di questo si tratta, ed è proprio perché così è stata sentita dal diretto interessato, ovvero dal popolo ucraino, che la reazione è stata pari all'offesa ricevuta. Non si invade impunemente una nazione, tanto più se fiera di una ritrovata indipendenza, eguale e contraria nel carattere, nella storia pregressa, nella capacità di sopportazione e di orgoglio, nello spirito di sacrificio, al suo potente invasore.
Sotto questo profilo, Putin ha fatto una mossa rischiosa, e per molti versi disperata, e che di nuovo isola sì la Russia rispetto all'Occidente. Non è la prima volta, come abbiamo visto. Che non sia l'ultima non dipende però solo da lei.
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