"L'Europa tradì Kundera ma oggi sfida Putin e cerca il suo centro"

Il politologo francese racconta limiti e punti di forza di una Unione "in fieri"

"L'Europa tradì Kundera ma oggi sfida Putin e cerca il suo centro"

Oggi Jacques Rupnik, esperto di Storia e politica dell'Europa centro-orientale (tra i suoi libri ricordiamo Senza il muro. Le due Europe dopo il crollo del comunismo per i tipi di Donzelli), direttore di ricerca al Ceri (Centro di ricerche internazionali) e docente all'Istituto di Scienze politiche di Parigi, sarà oggi al Circolo dei lettori di Torino per l'incontro Fondamenti e limiti dell'Europa: sono cambiati nel tempo. Il dialogo partirà da Un Occidente prigioniero (Adelphi) di Milan Kundera di cui Rupnik ha scritto assieme a Pierre Nora la premessa.

Professor Rupnik, l'Europa è stata a lungo divisa dalla cortina di ferro. Queste fratture trent'anni dopo sono state davvero superate?

«Non sono scomparse, ma ora sono divisioni all'interno dell'Unione europea. Riguardano temi come la sovranità nazionale, la memoria del dopoguerra o la percezione delle minacce, a cominciare dalla Russia. Con la guerra che la Russia sta conducendo in Ucraina si apre una nuova cortina di ferro, che la Russia presenta come un atto preventivo contro l'influenza occidentale. D'altra parte, il nostro dibattito all'interno dell'Ue su una completa abolizione dei visti per i cittadini russi equivarrebbe, come ci ricordano gli attivisti russi per i diritti umani, a stabilire una nuova cortina di ferro, ma questa volta da parte dell'Europa occidentale».

La creazione dell'Unione europea con il suo rapido allargamento verso Est ha creato rischi geopolitici che potrebbero non essere stati calcolati?

«L'allargamento dell'Unione è stata una risposta al 1989, e soprattutto alle aspirazioni dei popoli usciti dall'impero sovietico. Doveva fornire stabilità alla nostra periferia orientale. Tony Blair ha persino affermato a Varsavia nel 2000 che senza allargamento, l'Europa occidentale dovrà sempre affrontare la minaccia dell'instabilità, del conflitto e della migrazione. Al contrario, possiamo dire, oggi, che questo ci espone anche all'instabilità e persino alla guerra... Abbiamo pensato di estendere la stabilità del centro alla periferia, scopriamo che, al Sud come all'Est, anche la periferia può destabilizzare il centro».

La guerra in Ucraina rischia di fratturare il sistema europeo come lo conosciamo?

«L'Europa, con sorpresa di Putin, ha risposto alla guerra con un'unità davvero notevole nell'adozione, in quattro mesi, di sei ondate di sanzioni molto dure. Ma è anche vero che questa coesione può incrinarsi nel tempo, soprattutto perché i costi energetici ed economici incidono sulle popolazioni. E soprattutto abbiamo visto emergere approcci diversi verso le cause del conflitto - la Russia - e verso le finalità della guerra tra i Paesi dell'Europa centrale, confinanti con la zona di crisi, e quelli dell'Europa occidentale. Per i primi, in particolare la Polonia e i Paesi baltici, solo una sconfitta della Russia può garantire l'indipendenza dell'Ucraina e la loro sicurezza; per i secondi bisogna evitare un'escalation che comporta un rischio nucleare e, a lungo termine, una Russia divenuta vassalla della Cina».

È ipotizzabile che l'Ucraina, una volta terminata la guerra con la Russia, possa integrarsi rapidamente nell'Unione europea?

«Fornire lo status di candidato all'adesione all'Unione è stato soprattutto un gesto politico e simbolico nei confronti di un Paese in guerra. Ma nessuno può pensare che un Paese grande come la Francia che non controlla i propri confini e che, prima del conflitto, non soddisfaceva di gran lunga i criteri di governance compatibili con l'Ue, possa aderirvi rapidamente. Tanto più che c'è già da quasi vent'anni una lunga lista di Paesi balcanici in sala d'attesa. Sarà quindi un lungo processo che richiede di ripensare l'allargamento per fasi, ognuna delle quali consentirebbe un ulteriore grado di integrazione e un corrispondente accesso ai fondi europei. Infine, dovremo modificare il processo decisionale nell'Ue e convincere le nostre opinioni pubbliche che l'allargamento non significa paralisi: ti è piaciuta l'Ue a 27? Amerai l'Europa a 37!».

Potrebbero succedere di nuovo cose come la Brexit?

«La Brexit crea un precedente e la tentazione sovranista esiste in Europa e non solo nelle zone dell'Est. Ma la seduzione del riprendere il controllo, per usare lo slogan dei Brexiteers, cosa significherebbe in realtà per Ungheria, Estonia o Polonia? Isolamento e impoverimento. Il caso britannico è piuttosto un deterrente sia in termini di costo economico che di perdita di influenza. La Brexit è senza dubbio incresciosa, ma anche la migliore risposta ai sovranisti di Budapest o Varsavia che amano paragonare Bruxelles a Mosca: l'adesione all'Ue è volontaria e puoi lasciarla liberamente per provare un viaggio solitario...».

Quali errori ha commesso l'Occidente nei confronti dell'Europa orientale?

«Ci sono certamente difficoltà politiche nell'includere pienamente i nuovi arrivati in un progetto che è stato costruito senza di loro in un'Europa divisa; incomprensioni, e talvolta arroganza, che persistono. Ma la cosa più difficile da cambiare sono le percezioni. È qui che leggere il saggio di Kundera è importante per comprendere la difficile situazione delle piccole nazioni la cui esistenza non è evidente. Sono profondamente europei, ma restii a fondersi in un tutto sovranazionale, un modello che imitano da trent'anni e che sembra senza fiato.

Perché Kundera parlava di un Occidente prigioniero già decenni fa?

«Kundera ha contestato la terminologia in vigore prima del 1989: le democrazie popolari dell'Europa orientale. Queste erano dittature molto impopolari nell'Europa centrale. Dare nomi sbagliati alle cose è aumentare le disgrazie del mondo, ha detto Camus. Questi Paesi appartenevano culturalmente all'Occidente e si ritrovarono rapiti dalla Russia che impose il suo regime che rappresentava per Kundera un'altra civiltà. Per lui, il fatto che l'Europa non considerasse l'annessione di Praga o Budapest all'Impero d'Oriente come una mutilazione ha fatto sì che l'Europa non si concepisse più come una unità culturale, ma solo come un mercato e un sistema di norme giuridiche.

La guerra che la Russia sta conducendo in Ucraina solleva ancora una volta la questione dei veri fondamenti dei valori europei. Viene vissuta, nei Paesi di cui parlava Kundera, come una rottura di civiltà. L'Ucraina a sua volta rifiuta di essere rapita e cerca nella sua tragedia di attaccarsi all'Europa».

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