Le Olimpiadi di Tokyo 2020 sono già diventate un caso e lo sport non c'entra nulla. Sembra un paradosso ma in realtà lo è anche l'anacronismo a cui ha costretto la pandemia, così come accaduto con Euro 2020. Per quanto riguarda l'appuntamento sportivo più atteso dell'anno, che per buona pace degli italiani non sono stati gli Europei di calcio, il politicamente corretto è entrato a gamba tesa modificando rituali e consuetudini che affondano nella notte dei tempi. Ma andiamo con ordine.
Il politicamente corretto nipponico
A pochi giorni dall'inizio delle competizioni, Kentaro Kobayashi, direttore della cerimonia di apertura, è stato costretto a dimettersi. Il motivo? Una battuta sull'olocausto fatta nel 1998 durante uno spettacolo teatrale. Già all'epoca Kobayashi si era scusato e a nulla è servito ribadirle: licenziato. Ma mica lui è stato l'unico. Eh no, perché nei giorni precedenti erano stati costretti a licenziarsi anche il compositore Keigo Oyamada e Yoshiro Mori. Il primo è il compositore al quale erano state affidate le musiche della cerimonia, la cui colpa è quella di essere stato (26 anni fa) un bullo ai tempi della scuola. Ne ha parlato in un'intervista ed è stato allontanato al pari del capo del comitato organizzativo, che aveva scherzato sul fatto di non volere le quote rosa nel comitato perché "parlano troppo".
L'ipocrisia dell'inclusione: il caso Egonu
Ma se questo è il politicamente corretto in salsa nipponica, che dire degli elogi concessi nel nostro Paese a Paola Egonu, pallavolista veneta di smisurato talento, scelta come portabandiera dal Comitato olimpico internazionale. Non appena è stata data la notizia, i radical chic del nostro Paese hanno esultato. Tutti tifosi e appassionati di pallavolo? Macchè. Il loro giubilio è scoppiato perché la Egonu è nera e bisessuale. Se a essere scelta per questo ruolo fosse stata un'altra atleta, come per esempio Benedetta Pilato, probabilmente la notizia sarebbe passata in cavalleria con molta facilità.
Questo atteggiamento provinciale e stucchevole dell'intellighenzia rimarca delle differenze, le stesse che l'intellighenzia dichiara di voler appiattire e che al tempo stesso fomenta. E infatti non si contano gli elogi per la bellezza e l'eleganza di Paola Egonu durante la cerimonia, fiumi di parole al miele sulla pallavolista, trattata con maggiore deferenza delle sue colleghe per aspetti extra sportivi. Ma vabbè, non ci deve stupire. D'altronde nel nostro Paese da sempre una certa parte politica soffre di complessi esterofili di inferiorità e cerca di rincorrere le culture altrui per sentirsi più cool. Si dice cosi, no?
Il doppio portabandiera
Ma a proposito di bandiere, quest'anno a Tokyo la cerimonia di apertura ha evidenziato i limiti del politicamente corretto in tutto il suo paradosso. Da sempre, il portabandiera della delegazione è l'atleta con maggiori meriti sportivi o che, comunque, viene premiato per la sua carriera. Poco importa il sesso, a contare sono i meriti. Quest'anno, in barba a ogni tradizione, la maggior parte delle delegazioni ha sfilato con il doppio portabandiera: un uomo e una donna. Per l'Italia hanno tenuto il vessillo tricolore Elia Viviani e Jessica Rossi, due eccellenze nella loro specialità ma era davvero necessario che fossero in due? Federica Pellegrini, la "leggenda vivente" del nuoto italiano è alla sua ultima Olimpiade, perché non le è stato concesso l'ultimo onore del Tricolore? È stata portabandiera a Rio nel 2016, poteva chiudere replicando a Tokyo nel 2020, anzi 2021.
L'ideologia del body sessualizzante
Ma non c'è solo il politicamente corretto alle Olimpiadi giapponesi, sarebbe stato troppo noioso. Le atlete della nazionale tedesca di ginnastica si sono presentate in pedana con una tuta intera. Hanno lasciato a casa i body preferendo un abbigliamento che non sessualizzasse il corpo femminile. Ogni nazionale ha il diritto di scegliere come presentarsi alle competizioni nel rispetto del regolamento ma la strumentalizzazione ideologica è davvero troppo.
L'infrazione dello spirito olimpico
Infine c'è l'episodio che più di tutti ha tradito lo spirito olimpico. Nell'anno (il primo) in cui si ricordano gli 11 atleti israeliani uccisi alle Olimpiadi di Monaco di Baviera nel 1972, un judoka algerino ha deciso di non scendere sul tatami perché al sorteggio avrebbe dovuto sfidare un atleta israeliano. "Siamo stati sfortunati con il sorteggio. Abbiamo avuto un avversario israeliano ed è per questo che ci siamo dovuti ritirare. Abbiamo fatto la scelta giusta", ha detto l'allenatore del judoka.
Nella competizione che nell'Antica Grecia fermava tutte le guerre grazie alla cosiddetta "tregua olimpica", ristabilita con la "dichiarazione del Millennio" dell'Onu nel 2000, un simile atteggiamento viola le basi della competizione stessa.
Per affermare la propria supremazia in uno sport esistono le competizioni di specialità, le Olimpiadi sono altro. E gli atleti che non ne rispettano lo spirito non meriterebbero di parteciparvi. Per giustizia e per coerenza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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