Sanità non è solo un rione di Napoli ma un luogo del cuore, quell'angolo di un sud nascosto in ognuno di noi. Lo spazio di un vagabondaggio ideale e idealizzato che confina con la malinconia. Un tempo rappresentava la nobiltà. Era un tratto del percorso del re in viaggio verso Capodimonte. Poi tutto cambiò e diventò una terra di nessuno, un enclave dove la camorra ha piantato radici e oggi nemmeno i napoletani sanno assegnargli una tinta. Un colore. Un sapore. A fatica saprebbero quasi dire dov'è.
Lo sa invece fin troppo bene Felice Lasco, ex scugnizzo emigrato in Egitto, dove è diventato ricco e ha sposato un donna dalla quale è riamato profondamente. Il senso del cuore però ha una bussola indecifrabile che solo lui conosce. Itinerari e mete che spuntano dai ricordi. Dettati dall'amore. E Felice torna dove era nato. Vuol rivedere la madre dopo lunghi anni di lontananza. Non sa però che sarà l'ultima volta, perché quei vicoli poveri e sporchi sono la sua anima e l'anima non si può lasciarla dove vuole la ragione.
Nostalgia di Mario Martone, passato ieri a Cannes in concorso e da oggi nei cinema in 400 copie, racconta i sentimenti di un uomo che non sa dimenticare. E a Pierfrancesco Favino tocca dare corpo a queste sfumature di un cuore che vuol riabbracciare la madre e la sua città. Il suo passato e il compagno di giochi. Il suo presente e il suo futuro. Torna perché talvolta, lontani, non è più vita. E organizza l'arrivo della moglie, nonostante la dissuasione della Napoli maledetta.
La nostalgia è un mistero interiore. Impossibile pretendere di darle una fisionomia. È maschile e femminile. Intenso e poetico. Drammatico e umano. È tutto questo e quello che le parole non dicono. E Nostalgia è tra le opere più belle di questa edizione della rassegna più. La novità Martone - alla première in Costa azzurra e al centro di uno spazio speciale al prossimo Festival di Pesaro - è l'asso nella manica di un'Italia che sa far vibrare le corde dei sentimenti come pochi altri. Quando vuole. Quando decide che solo uscire dalla banalità di tante storielle è vita vera. E raccontare l'anima è qualcosa più di una sfida.
«Non riesco a girare un film se dentro di me non si accende una scintilla - spiega il regista -. A molti romanzi ho rinunciato perché, pur essendo belli, non hanno fatto scattare sensazioni. Quando ho letto le pagine di Ermanno Rea è successo qualcosa che non saprei descrivere a parole ma ho tentato di mostrare per immagini». Napoletano, innamorato di una napoletanità che non è campanilismo né aprioristica forma di critica snob, Martone ha messo le mani nelle viscere dei vicoli.
Nelle sfumature della suggestione e dei ricordi, che poi Favino ha plasticamente tradotto in una realtà quasi palpabile spiegando che «siamo nel territorio di un intimità che ognuno di noi fatica a conoscere perfino di se stesso. Ma c'è».
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