Intanto è tutto registrato dal vivo o quasi, praticamente in presa diretta, roba che ormai chi se la ricorda più. E poi è un disco passionale, strutturato, drasticamente in controtendenza rispetto all'usa e getta di tanto pop che gira intorno. «Non è stato facile», dice Marco Mengoni descrivendo Materia (Terra) che inizia oggi la sua avventura portandosi dietro tanta attesa ma pure tanti cambiamenti. Lo ha presentato l'altra sera alla vecchia maniera, ossia cantando dal vivo in un luogo nascosto in centro a Milano, una sorta di «speakeasy» con nove musicisti e musica fatta di materia e sudore. Lui, totalmente vestito di bianco come un crooner, i pantaloni a zampa di elefante come si conviene a chi si avvolge di soul e gospel e blues, ha cantato tanti brani nuovi del disco con una voce due passi avanti rispetto al solito. Più matura. Ancora meno barocca.
«Durante il lockdown sono quasi sempre stato solo - spiega in quello che è il suo studio di registrazione -. Da una parte, almeno all'inizio ero quasi soddisfatto di potermi ritagliare un po' di pensierosa solitudine. Dall'altra ho riflettuto su cosa siano per me l'amore o la fiducia nelle altre persone oppure, più limitatamente, nell'altra persona. E mi sono reso conto che non guardavo il mondo con la necessaria lucidità». Un flusso di coscienza che lo ha portato a pensare che no, un disco da solo non basta a spiegarsi fino in fondo. «Ce ne vogliono tre», spiega confermando che Materia (Terra) è il primo di una trilogia. In fondo, Marco Mengoni, 33 anni, carriera sbocciata in un talent show ma cresciuta grazie a talento e ostinazione, per un decennio non si era praticamente fermato: due Festival di Sanremo, dei quali uno vinto nel 2013, un Eurovision Song Contest, tanti tour, molti dischi, parecchio tormento d'animo e di vita. Poi ha preso fiato.
Ed è nato il nuovo Mengoni, che riprende e fa propri codici musicali del passato, da quelli della Motown o dell'r&b o della prima disco music, senza copiarli ma «mengonizzandoli» e confermando che sono sempre stati nel proprio Dna musicale. «Avevo voglia di fare musica dal vivo ma anche di tornare a dare valore all'idea di disco, un'idea che si sta un po' perdendo». E, se si sta perdendo, è anche un po' responsabilità della «liquefazione» della musica, della sua frammentazione sulle piattaforme e sui social. «Non sono certamente contro l'inevitabile evoluzione, mi limito a riflettere che, nella società dei like, pochi riflettono abbastanza prima di mettere un like. È tutto così fulmineo. Ma mi piace pensare che la mezz'ora che tu hai concesso all'ascolto di un disco, a sua volta ti ha concesso qualcosa». Insomma è un Mengoni 2.0. Un artista che ha la forza e il coraggio di confrontarsi con le proprie influenze («Ho sempre ascoltato soul e musica americana, ma anche Lennon e McCartney») e di trasformarle in un disco così intenso da accogliere anche gli ospiti (Madame in Mi fiderò e Gazzelle in Il meno possibile) senza perdere omogeneità. Una sorta di meditazione en plein air, a cuore aperto, per tutti. Come in Proibito, che è racconto e riflessione sull'amore universale con uno «special», ossia un inserto all'interno del brano, che è un messaggio vocale, un augurio, anche autobiografico, di innamorarsi: «I social ti danno l'illusione di avere tutto e rischi di non dare valore alle cose che hai».
Insomma, Materia (Terra) sorprende perché non vuole sorprendere, perché è spontaneo ma non irruente, perché trasmette il profumo e l'odore della musica come i più esperti hanno già respirato e i più giovani magari ancora no.
E sarà una sfida riproporre queste canzoni negli stadi, visto che sarà a San Siro di Milano il 19 giugno e all'Olimpico di Roma il 22.«Quando canto sento di essere meno angosciato, di soffrire meno», spiega. E l'altra sera, in quella piccola sala in centro a Milano, ha confermato di avere voce e ormai anche repertorio per salire ancora più su.
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