Presentato Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, "Hopper/Welles" è il film che documenta l'intervista fatta dal grande Orson Welles a Dennis Hopper nel 1970, nel corso della lavorazione di "The Other Side of the Wind".
Si tratta di materiale grezzo, riproposto intatto e perciò dal fascino potente. Welles è la voce fuori campo e tiene la telecamera fissa su un Hopper illuminato da luce naturale.
Due icone diversissime tra loro ma anche due uomini intelligenti che cercano di venirsi incontro, l'anziano gigioneggiando e il giovane improvvisando risposte pseudo-intellettuali.
E' un Welles incuriosito quello che riprende la lunga chiacchierata, adducendo la scusa di inserirla come conversazione nel film (Hopper, infatti, lo chiama Jake, come il protagonista di "The Other Side of the Wind"). Le domande riguardano il cinema, l'arte, l'impegno politico e la vita privata. Sembrano due pugili. Torchiato e messo all’angolo da un Welles a dir poco incalzante, Hopper cerca di difendersi come può, sorridendo spesso e tentando di cambiare argomento. Solo sulla politica Welles non sarà all'altezza dell'avversario, letteralmente blindato. Impossibile vincerne la ritrosia a parlare. Welles ne sottolinea i ragionamenti contraddittori e lo apostrofa come "rivoluzionario riluttante".
Naturalmente il cinema è l'argomento privilegiato. Hopper, reduce dal successo di "Easy Rider", riconosce ai film l'enorme potere di possedere le menti degli spettatori per un po' di tempo, ma non ha le idee chiare sul cambiamento futuro che potrebbe derivare da ciò.
Concordano che sia più facile dire la propria sullo schermo che nella vita e che siano molte le analogie tra essere Dio e fare il regista (la più divertente è che siano figure circondate da Yes men). Hopper rivela di sentirsi un bambino che gioca mentre gira un film, ma di soffrire tantissimo al momento del montaggio. Per Welles è l'opposto: lui non vede l'ora di far emergere, insieme a quelli che chiama "tagliatori", le riprese migliori.
Hopper si tocca continuamente la barba, si gratta nervoso la guancia e prosegue raccontando moltissime cose: di vivere in un'area montana dove è tenuto d'occhio dall'FBI, di acquisire le notizie solo dalla tv, di adorare la sua pistola semiautomatica, di non aver ancora capito se preferisce il sesso o l'amore e di essere diventato un artista come reazione a un'infanzia infelice.
I toni sono, a più riprese, piccanti e goliardici. Si sorride delle inaspettate chiacchiere da bar. Hopper sostiene di essere diventato regista soprattutto per avere donne più belle e Welles parla di un certo "Zoom, il tuo unico amico" (si capisce a cosa si riferisca), per poi vagheggiare di riprendere l'origine del mondo (non il dipinto) in 3D. Insomma, i due sono in grande intimità, anche se l'uno si definisce un "nichilista vecchio stile", l'altro un "ingenuo e primitivo". Hanno una buona parola per tutti: Jane Fonda è accusata non troppo velatamente da Hopper di ipocrisia, Antonioni da entrambi di essere il maestro della noia e dell'esasperazione (per Welles "i suoi film sono senza succo", mentre Hopper ha provato sette volte a vedere "L'avventura" ma si è sempre addormentato).
Sanno cosa vuol dire scontare la fama con la calunnia. L'uno si è visto dare del drogato su "Life", all'altro è stata affibbiata l'etichetta di fascista.
Insomma, "Hopper/Welles" non è solo un documento storico interessante e dai contenuti attuali.
Regala la possibilità magica di trascorrere un paio d'ore in compagnia della velocità neuronica di un genio beffardo come Welles e di osservare le fragilità timide e sincere di un giovane uomo elevato a simbolo dell'irriverenza da una generazione.Piccoli miracoli che accadono a Venezia.
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