"Metto il mio violoncello al servizio di chi oggi è rimasto senza musica"

L'artista ha inciso nella sua casa "Comfort and hope" durante il lockdown del 2020

"Metto il mio violoncello al servizio di chi oggi è rimasto senza musica"

Yo-Yo Ma (1955) è il violoncellista del secolo, personalità il cui peso specifico va oltre la sostanza d'artista. Ha suonato per nove presidenti d'America, il primo fu JF. Kennedy: aveva 7 anni e a volerlo per quel concerto fu Leonard Bernstein. È nel board del Forum di Davos, ha lanciato iniziative come la Via della Seta. In lui convivono modi e filosofie delle due superpotenze cui appartiene. Nato a Parigi da genitori in fuga dalla Cina, a sette anni era negli Usa, Paese che l'ha lanciato, sostenuto e ancor prima forgiato: alla Juilliard School e alla Harvard, perché ha pure una laurea in Antropologia. Ha pubblicato oltre 100 dischi, gli ultimi due - per Sony - sono una risposta alla pandemia. Comfort and Hope raccoglie la serie di brani che Yo-Yo Ma eseguì da casa - nel Massachusetts - durante il primo lockdown. Saranno devoluti a due fondazioni per musicisti in stato di indigenza, i ricavi della registrazione di febbraio, You'll Never Walk Alone, in duo con la pianista Kathryn Stott.

Questa è l'ora più buia per i musicisti.

«C'è chi ha cambiato professione, ed è difficile dirlo, ma fa parte della vita. Il dramma è quando non si è neppure nella condizione di poter cambiare».

In America i musicisti soffrono ancor più che in Europa. Al Met di New York non c'è stipendio da un anno.

«È una situazione molto articolata, cambia da Stato a Stato. In Texas, per esempio, i concerti sono ripresi anche se con poche persone in sala. Lo stesso vale per Boston dove la vita concertistica sta riprendendo. Altrove è tutto fermo. Le piccole istituzioni sono già sparite. Così come è terribile la situazione dei freelance».

Per l'immediato futuro vede più ombre o luci?

«Dobbiamo puntare tutto sui vaccini e su una buona organizzazione per la distribuzione, conta poi una certa disciplina per contenere i contagi. Non c'è altra via d'uscita se vogliamo tornare a una esistenza che valga la pena d'essere vissuta».

Lei è stato premiato con la Medaglia Presidenziale della Libertà. Cosa è la libertà?

«Libertà è sapere dove sono i limiti e capire quando possono essere superati. Nasce dall'equilibrio tra forma e contenuto, capita che il contenuto superi la forma o che la forma imbrigli il contenuto perché l'essere umano ha limitazioni in termini di mente, immaginazione e corpo. C'è lo slancio a volare, ma anche la forza di gravità che ti riporta a terra».

Come si concilia la libertà d'artista con la «cancel culture»?

«Ammetto che non capisco fino in fondo questa nuova espressione, forse perché considero cultura tutto ciò che l'umanità ha inventato, a partire dai primi strumenti per l'agricoltura alla fisica e politica. Non mi è chiaro cosa si possa cancellare della cultura. Vogliamo cancellare, che ne so, Caravaggio? Veramente?».

Il suo penultimo cd s'intitola Consolazione e speranza. Cosa la fa star bene aldilà della musica?

«Non lo dico perché l'intervista è per un media italiano, ma nei momenti più tristi della pandemia confesso che chiudevo gli occhi e pensavo ai cipressi toscani, alla vostra bella architettura, mi immaginavo in una trattoria versando olio su pane e pomodorini, con la forchetta che affonda in una pietanza. Poi stappo una bottiglia di vino. Questa è l'Italia, un mix di sapori e di riti: pensarla mi dà sollievo».

Lavora spesso con Riccardo Muti, Sollima, collaborò con Morricone. Suona uno Stradivari e un Montagnana. Che altro è l'Italia per lei?

«Fabiola Gianotti, direttrice del Cern. Siamo entrambi nel board di Davos. È donna di scienza, ma anche grande umanista, conosce il greco, il latino, parliamo di tutto».

Ed è pure pianista.

«Vede queste registrazioni sul mio iphone? Me le ha mandate lei. Ci scambiamo spesso brani musicali. L'ultimo è l'Arpeggione di Schubert».

Cosa fa un violoncellista al Forum di Davos?

«La musica non nutre le persone e non risolve i conflitti, però tutti dobbiamo giocare il nostro ruolo. Non so quanto possa contribuire all'umanità, però voglio essere utile, anche solo ricordando che dobbiamo ripartire dai valori».

Quali anzitutto?

«Fiducia, servizio e verità».

Una verità che spesso sfugge agli economisti è che la cultura fa bene all'anima ma anche al Pil.

«Dipende come si misura ricchezza e benessere di un Paese. Usiamo l'indicatore economico oppure con quello della felicità come si fa nel Buthan? Ora i termini in gran voga sono ambiente ed economia circolare, e in questo rientra finalmente anche l'arte.

La musica si realizza grazie all'unione di mente, cuore e mani come i mestieri prima della Rivoluzione industriale. Oggi usiamo cose fatte, preconfezionate, addirittura precotte. Ma nulla dà più soddisfazione di ciò che realizzi con le tue stesse mani. A partire da un buon piatto».

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