"La mia Turandot e Amici insieme per far tornare l'opera popolare"

Al festival Puccini il direttore di "Chi" firma anche la regia della "Bohème"

"La mia Turandot e Amici insieme per far tornare l'opera popolare"

Chi più lo ferma. Per Alfonso Signorini, il direttore di Chi, l'amore per l'opera conosce un crescendo inarrestabile. Entrato nelle sacre stanze della lirica, è scattata una passione travolgente. Così, a un anno dal debutto come regista, torna al melodramma firmando la regia di due produzioni per il festival Puccini di Torre del Lago. Stasera (14 luglio) è la volta di Turandot di Puccini, il titolo con cui esordì nell'estate 2017: si replica ma con accorgimenti rispetto a un anno fa. Il 27 luglio, sempre a Torre del Lago, va in scena una nuovissima Bohème, fedele all'originale ma lontana da certi cliché. Quali? «La mia Mimì non è una santa», anticipa Signorini che per entrambi i titoli lavora con il direttore d'orchestra Alberto Veronesi. I costumi e le scene sono di Leila Fteita.

Così, torna in casa Puccini con Turandot.

«È stata un'edizione molto fortunata, l'abbiamo portata anche al Mariinskij di San Pietroburgo e in Georgia».

Ma ci sono novità. Quali?

«Analizzando il pubblico, sorprendentemente fatto di tanti giovani, m'è venuta un'idea. Perché non coinvolgere i ballerini professionisti di Amici nei due momenti di danza?»

E Maria de Filippi?

«Ha accolto subito la proposta. Conosce i gusti del pubblico. Sa che l'idea funzionerà. Abbiamo aperto la prova generale agli studenti: sono letteralmente impazziti».

Amici si avvicina alla lirica?

«È la prima volta. E funziona benissimo. I ballerini sono entrati immediatamente in questo mondo. Certo, sono fior di professionisti (Pauselli, Panzeri, D'Amario, Taveira, Sacchetta)».

Possiamo considerarlo un esperimento d'opera-pop?

«Un tentativo di riportare l'opera alle sue radici. Il melodramma nasce come intrattenimento popolare. Sarei molto contento se nel mio piccolo riuscissi a dare una mano mettendo in gioco la popolarità televisiva».

Cosa ci riserva questa sua Bohème?

«È un omaggio esplicito all'impressionismo francese. Sono andato in giro per musei, traendone ispirazione. Le scenografie di questa Bohème si rifanno a quadri di Monet, Manet, Renoir. Mi sono concesso una sola licenza».

Per quale scena o personaggio?

«Per Musetta. In questo caso, per gli abiti mi sono rifatto a un manifesto di Toulouse-Lautrec che ritrae una prostituta con un serpente attorcigliato all'abito. Nel terzo atto, Marcello dà della vipera a Musetta...»

Chi è Mimì?

«Non è la ragazza con lo scialletto, intenta a ricamare e a fare gigli e rose. Sono convinto che fosse una grande seduttrice. Avrà aspettato che se ne andassero gli amici di Rodolfo prima di bussare alla porta del giovanotto. E sarà stata lei, e non una corrente d'aria, a spegnere la candela. Non dimentichiamo che nell'ultimo atto lascia Rodolfo e va a vivere con un viscontino. Non mi piace la tendenza ad angelicare le donne dell'opera. Cosa sbagliata, soprattutto in Puccini: le sue donne sono così sensuali».

Mentre gli uomini così deludenti.

«Vero. Rodolfo è un po' superficialotto, vuole arrivare subito al dunque, dopo un minuto dice che ama Mimì. Pensa più al divertimento che ai sentimenti veri. Gli preferisco Marcello: lui è veramente innamorato di Musetta».

...la «fraschetta», si legge nel libretto.

«Come le migliori veline va a fare shopping con il portafogli del ricco uomo, ma è capace di grandi sentimenti. Bohème è un'opera dove l'amore non è mai banale. Ritroviamo il miglior Puccini e il peggiore Puccini».

Chiaro il migliore. Ma perché il peggiore?

«Perché va a ravanare negli animi, mette il dito nelle piaghe. Impossibile non commuoversi, non piangere...»

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