Mino Milani, l'ultimo Corsaro nero

Addio al grande fumettista e romanziere: scelse l'avventura per raccontare la realtà

Mino Milani, l'ultimo Corsaro nero

È morto a 94 anni, appena compiuti lo scorso 3 febbraio, Mino Milani. Era nella sua casa di piazza San Pietro in Ciel d’Oro, nel cuore di Pavia, dove ha vissuto per tutta la vita. Mino Milani è stato romanziere, giornalista e fumettista. Nel ’54 inizia la storica collaborazione con il «Corriere dei Piccoli». Nel ’57 esce «Il cuore sulla mano», il suo primo libro di racconti. Ne seguiranno molti altri: «Tommy River», «Martin Cooper», «Fantasma d’amore» (’77); oltre ai romanzi sulle inchieste del commissario Melchiorre Ferrari, ambientate in una Pavia ottocentesca ancora sotto il governo austriaco. Alla sua città ha dedicato anche una «Storia avventurosa di Pavia».

Se qualcuno mi chiedesse perché amo la letteratura popolare, potrei rispondere: «perché da bambino leggevo le storie di Emilio Salgari e i fumetti di Mino Milani pubblicati sul Corriere dei ragazzi». E se mi chiedeste qual è l'ultima introduzione a un saggio che ho letto vi risponderei che è quella di Mino Milani, a una biografia di Emilio Salgari firmata da Claudio Gallo e Giuseppe Bonomi che uscirà in maggio da Oligo Editore. Purtroppo Mino non potrà rileggere le bozze di quel volume perché è morto ieri nella sua Pavia.

Me lo immagino sdraiato nella sua casa in piazza San Pietro in Ciel d'oro in mezzo ai libri, ai cimeli e ai ricordi di una vita, là dove puntualmente raccontava aneddoti a me e a mio padre e al disegnatore Aldo Di Gennaro che ha illustrato per una vita le sue storie. Mino ogni volta cucinava il suo risotto speciale per gli ospiti, offriva il suo vino e iniziava a raccontare. Narrare a voce o scrivere per lui era un'attività quotidiana che non ha mai interrotto. «Cos'è la vita, infine? Uno spinterogeno che non funziona. Un sedile invece di un altro. Uno sportello. Una fila di comode, confortevoli, soffici poltrone. La morte è alla fila più avanti». Mino l'aveva scritto in La realtà romanzesca (Mursia, 1967), sottolineando come la nostra esistenza sia scandita più da piccole banalità casuali, che da grandi eventi. Ma spesso possono accadere anche eventi straordinari, incredibili che la trasformano. Mino Milani era un acuto osservatore della realtà ed era capace di raccontarne la quotidianità, ma anche la magia.

Nato nel 1928, aveva compiuto il 4 febbraio scorso 94 anni e li aveva festeggiati serenamente nella sua casa pavese, assieme alla cognata e ai nipoti. La sua produzione letteraria è stata impressionante. Degna di autori come Salgari, Dumas, Simenon, Scerbanenco. Milani ha avuto la capacità eroica di passare dai romanzi per ragazzi a quelli per adulti. Ha scritto biografie di Garibaldi, Anita, Nino Bixio, ha inventato eroi western memorabili come il cowboy Tommy River e ha dipinto condottieri tutti d'un pezzo come Fortebraccio, ha commosso lettori e lettrici con storie romantiche impossibili, come il fortunatissimo Fantasma d'amore (che venne trasformato in un meraviglioso film nel 1981 da Dino Risi), ha riscritto miti classici e moderni, ha ideato polizieschi, non si è mai posto il problema se scegliere fra generi come il sentimentale, lo storico, l'avventura o la fantascienza. Appassionato di fumetti (ha lavorato intensamente per oltre un decennio al Corriere dei Piccoli e al Corriere dei ragazzi), ha visto le sue storie illustrate fra gli altri da Aldo Di Gennaro, Hugo Pratt, Milo Manara, Dino Battaglia, Sergio Toppi, Enric Sió, Arturo del Castillo.

Milani amava scrivere, usando anche pseudonimi, come Stelio Martelli, Eugenio Ventura, Piero Selva, Mungo Graham Alcesti e T. Maggio. Il suo stile pacato, preciso e allo stesso tempo epico è sempre stato inconfondibile. Traspariva anche nelle storie scritte col cuore in mano dedicate alla sua Pavia. «Certe volte - mi ha confessato - penso d'aver descritto una città che non c'è, forse che anzi non c'è mai stata e, come che sia, nel suo complesso senza dubbio migliore di quella involgarita e decadente di oggi».

Aver lavorato per anni come bibliotecario aveva innescato un rapporto speciale fra lui e il mondo dei libri: «quel lavoro, anzi quel nobile lavoro, ha suggellato un rapporto che già avevo, e felice. Mi ha fatto vedere da vicino, da vicinissimo, quanto grande e instancabile sia l'uomo, quanta intelligenza possegga e tramandi nel tempo. Alla fine penso che (messo alle strettissime, si capisce), come ho rinunciato alla tv, potrei anche fare a meno di un sacco di altre cose. Ma non dei libri». E fra i libri quelli di avventura per lui rappresentavano un mondo speciale: «ho iniziato ad amarli da ragazzino. Da quando gettai alle più ustionanti ortiche (che nessuno li trovasse) i libri cosiddetti edificanti e m'immersi in Salgari, per esortazione di mio padre (strenuamente cattolico, ma bravo soldato in guerra). Fu Salgari a vaccinarmi contro il buonismo. E dopo di lui, vennero quelli della Romantica Sonzogno: Sabatini, Curwodd, Zane Grey, Mason, Rider Haggard e via via fino a London e a Conrad. Sono stati loro i miei maestri. Mi hanno aiutato ad affrontare dignitosamente la guerra, durata quanto la mia adolescenza».

Forse perché quel tipo di storie gli era stato così vicino in quel periodo così speciale della sua vita, ha pensato che scrivere per ragazzi fosse per lui qualcosa di speciale: «quando ho iniziato a scrivere le mie storie si ricorreva spesso all'importazione sia per i libri gialli che per quelli d'avventura. L'unico modo per scrivere era farlo per ragazzi. Letterariamente parlando scrivere per loro significava iscriversi alla serie C. E del resto oggi è ancora così (da noi italiani, dico, unici o quasi nel mondo). Il mio approccio è stato quello di tentare l'argomento realtà e quello scrittura. Dunque non più manine piedini e erbetta, ma mani piedi erba; non più il miele sparso sulle parole; ma semplici parole, quelle usate nel giornalismo, o nel racconto per gli adulti. Niente trionfo del Bene: dunque la lotta, la generosità, la violenza, il premio e il castigo, la sconfitta, la vittoria, la morte. Ho cominciato così a scrivere di cattivi magari più belli dei buoni. Ho ritratto eroi che dopo due giorni di galoppo puzzano come i loro cavalli. Ho bene in mente quelle parole che Chandler scrive sulle belle donne: ma sì, certo, sono umane, sudano, si sporcano, devono andare al gabinetto: Che cosa credevate che fossero? Farfalle dorate in una nebbia rosa?».

Molti anni fà mi capitò di assistere a un incontro fra Milani e i detenuti della Casa Circondariale di Montorio a Verona organizzato dal Premio Salgari.

Qualcuno dei carcerati era entrato nervoso e sospettoso, poi Mino si era messo a parlare. Gli bastarono pochi minuti per commuoverli. Nessuno si era vergognato delle proprie emozioni perché ognuno si era sentito come il Corsaro Nero che «piange, incurante d'esser visto dai suoi esterrefatti marinai».

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