Muti incontra Malkovich e con il "Nabucco" illumina la Cherubini

Il Maestro a Kiev per "Le vie dell'Amicizia" ha scelto l'opera di Verdi perché "universale"

Muti incontra Malkovich e con il "Nabucco"  illumina  la Cherubini

Kiev. Sono in corso le prove del concerto delle Vie dell'Amicizia, il progetto di concerti nei luoghi simbolo della storia promosso dal Ravenna Festival. Il direttore Riccardo Muti ferma l'orchestra. «Rispettate gli accenti. Fateli sentire. È il pianto di un popolo», dice ai violini.

Nel Nabucco di Giuseppe Verdi, le lacrime sono del popolo ebraico. Qui, a Kiev, la mente corre alle vittime della rivoluzione di piazza Maidan. L'insurrezione (2014) fece capitolare il presidente-despota Viktor Janukovich, seguì l'elezione di Petro Poroshenko: tutt'ora presidente, oltre che imprenditore ed editore televisivo. L'Ucraina del nuovo corso guarda all'Europa che ha appena stanziato un altro miliardo di euro di aiuti. Il Paese non è mai decollato dall'indipendenza dell'agosto 1991. Alla radice, il chiaro imperialismo di Putin, ma anche la mano lunga e velata a stelle e strisce. È gravato da corruzione, da un sommerso che vale il 40% del Pil, l'economia fa capo a una manciata di oligarchi che possono fruire in modo pressoché esclusivo delle vie del lusso di Kiev: deserte, appunto. Manca la classe media, gli stipendi si aggirano intorno ai 250 euro mensili.

L'orchestra Cherubini, magnete di talenti italiani, unita ai complessi dell'Opera Nazionale d'Ucraina e ai musicisti di Mariupol, domenica è stata diretta da Muti nella piazza della cattedrale di Santa Sofia. Non manca un cammeo dell'attore John Malkovich (Educazione Siberiana, Morte di un commesso viaggiatore, Té nel deserto).

A destra del palco la torre campanaria, dietro il trionfo di cupole dorate della chiesa icona della città. L'occhio cade sui cecchini sparsi fra torri e torrette. Piove a dirotto, tira un vento freddo, ma i diecimila spettatori resistono. In tanti hanno sperimentato ben altro in questi ultimi anni, compreso il giovane ministro della Cultura: uno dei nomi emersi dalle settimane infuocate di Maidan. Dato il maltempo, il concerto inizia un'ora più tardi, lo apre il discorso-comizio di Poroshenko, nel 2019 si torna alle urne. La parola chiave è «Europa», lamenta l'aggressione russa ai danni di un'Ucraina che combatte per la propria sovranità. Putin deve liberare i detenuti di guerra, tra cui Oleg Sentsov, regista accusato di terrorismo e ora in un carcere russo. I cittadini ucraini vengono incitati a difendere i propri territori. Il sostegno della grande arte - aggiunge Poroshenko - è determinante. «Gloria all'Ucraina. Gloria agli eroi», declama il Presidente che l'anno scorso ha dovuto chiudere la sede russa della sua azienda di cioccolato.

Eroi i musicisti, il loro direttore e pure Malkovich colto ad asciugarsi il copione con un «fon». In quelle condizioni, altri avrebbero rinunciato. Il programma apre con pagine sacre di Verdi, «un compositore universale, la gente si commuove ascoltando la nostra musica». Parole di Muti confermate dai giovani artisti di Mariupol, nel Donbass, la ricca (di carbone e aziende metallurgiche) area al confine russo, da quattro anni in guerra.

Milioni di persone hanno abbandonato le province orientali, ma questi ragazzi non mollano: «A 20 chilometri dalla città c'è la guerra, sentiamo ogni giorno gli spari. Ma noi rimaniamo». Lo spiegano in russo e in ucraino. Perché è questa la realtà di un Paese bifronte, a est del fiume che divide la città di Kiev non disdegna la Russia, mentre a ovest guarda all'Europa, si parla alla russa, si suona alla russa (dunque bene), ma c'è sete di vera indipendenza. Nella capitale si ergono musei all'aperto in memoria dei caduti di rivoluzioni e guerre, c'è un mix di guerra e pace, di vita e morte. Dal 2014, riesce difficile conciliare l'anima russa e quella europea.

Il ventiduesimo viaggio dell'Amicizia ha il merito di riaccendere i riflettori su una crisi dimenticata e su una guerra - nel Donbass - che prosegue implacabile nel silenzio dell'Occidente. «Il cielo ha cominciato a piangere su Kiev per ricordarci che siamo piccoli uomini di fronte ai grandi eventi di cui crediamo di essere padroni. Un grande silenzio è calato su una folla che da mesi aspettava quest'incontro, attraverso la musica, fra Italia e Ucraina», ha osservato Cristina Muti, presidente del Ravenna Festival nonché artefice dei 22 Viaggi. I cori ucraini - d'impressionante bravura - intonano lo Stabat Mater e il Te Deum verdiani. Poi è la volta del Lincoln Portrait che Aaron Copland scrisse l'indomani di Pearl Harbour. I testi vengono letti da Malkovich. «Non sono nato schiavo e quindi non sarò mai un tiranno» è uno dei passi prediletti di Muti, che puntualizza «è un messaggio che non si riferisce all'Ucraina, ma vale per tutti i popoli. Sappiamo che c'è una situazione difficile in questo Paese. La nostra presenza non vuole essere politicamente da una parte o dall'altra: portiamo un messaggio di auspicio, di desiderio di conciliazione, di fratellanza». Malkovich pone l'accento sul finale, sull'idea che un «governo del popolo, dal popolo, per il popolo non abbia a morire».

Così disse Lincoln in uno dei discorsi ripresi nel Portrait. Concetti ribaditi anche stasera 3 luglio, al Pala Mauro De André di Ravenna dove il concerto di Kiev viene replicato tale e quale. E anche in casa nostra c'è spazio per riflettere.

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