In fondo J-Ax è come lo senti nei brani. Preciso, pungente, niente retorica. Anche le sue risposte potrebbero diventare testi di canzoni perché hanno il «flow» del rap e una metrica inconfondibile. «Sto preparando il nuovo album, che spero diventi un classic Ax con le mie radici musicali e qualche novità», spiega di partire per Malta dove domani (venerdì 4 ottobre) si esibirà al concertone di Radio Italia, ospitato all'interno del Mediterranean Stars Festival che poi si è rivelato un successo da 28mila spettatori, all'interno di un cast mica male: Alessandra Amoroso, Boomdabash, Guè Pequeno, Elisa, Francesco Gabbani, Gigi D'Alessio, Mahmood, Raf e Tozzi, Max Pezzali. Per lui, che da 27 anni occupa più o meno stabilmente i primi posti delle classifiche (prima con Articolo 31 e poi da solo) è anche la chiusura formale di un'altra estate da tormentone. In Ostia Lido c'è, come sempre, il vero J-Ax che sbeffeggia i luoghi comuni con un linguaggio volutamente nazionalpopolare («Tra i maschi lo sport più diffuso sulla spiaggia è trattenere il fiato, tenere dentro la pancia» oppure «Lui si porta i libri di Kafka ma poi studia ogni culo che passa»). Soprattutto, c'è un artista che rimane fedele al proprio stile musicale, assai ritmato ed essenziale. «Ma qualcuno dice che sono troppista, che faccio troppe cose».
Allora «troppista» potrebbe diventare anche «trappista». Le piace la trap?
«Ci sono belle cose e cose discutibili, come in tutto. Cerco sempre di non farmi trascinare dalla critica troppo facile perché l'ho patita sulla mia pelle quando ho iniziato con il rap negli anni Novanta. Comunque non voglio scimmiottare nessuno e non faccio la trap perché rimango fedele alle mie radici. Senza far paragoni, non voglio fare come Frank Sinatra con Elvis Presley o come Elvis con i Beatles. Più che altro mi interessa un discorso generale».
Ossia?
«Ho l'impressione che la musica sia sempre più costruita per non rimanere. È tutto vapore. Dopo 5 anni le cose non se le ricorda più nessuno, mentre una volta non era così. Non è un discorso da nostalgico, è una amara constatazione della realtà».
C'è l'azzeramento del passato.
«Mi fa ridere e un po' incazzare vedere dischi di platino cancellati perché è cambiato tutto con le nuove certificazioni».
La carriera però rimane.
«E io non ho avuto una carriera sempre stabile. Dopo gli Articolo 31 mi sono ritrovato a fare concerti anche con soltanto 300 persone. Però non ho mai mollato. E quest'estate ero l'unico della mia età nella top list di Spotify. Prima al numero 15 poi, pian piano, al numero uno e va bene così. A me non interessa essere il numero 1, a me interessa lasciare un segno».
Quale segno ha lasciato la scorsa estate?
«Per me è stata l'estate più bella di tutte perché non c'è stato un solo tormentone che ha stancato gli ascoltatori. Certe volte, a fine estate, si è talmente stanchi di ascoltare lo stesso pezzo che vien voglia di spegnere tutto. E poi...».
E poi?
«Dopo anni di Luis Fonsi ed Enrique Iglesias, i brani più ascoltati erano tutti italiani».
Cosa vuol dire?
«Vuol dire che gente come Takagi&Ketra, Charlie Charles e altri, dopo aver assorbito la lezione straniera, ha creato una scena italiana che ha spaccato il culo a tutti, come si dice in gergo. Prima c'erano un solo produttore e un solo suono».
Ci sono anche tanti duetti.
«Ci sono artisti come Elisa che hanno capito questa nuova tendenza e altri che la rifiutano e, a meno che non siano genii enormi, si condannano a rimanere un po' in disparte».
J-Ax è uno dei pochi ad avere un pubblico di tutte le età.
«I giovani ti seguono se sei autentico, non se provi a fare il gggiovane».
E adesso?
«Finita questa intervista vado in Sony a parlare del mio disco, ho già fatto ben 24 brani, forse sono davvero un troppista...». E giù una risata.
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