Papaveri, papere, ritornelli. Ecco il meglio del peggio

Un "sopravvissuto" a 65 Festival apre il suo libro dei ricordi. Tra vallette oche, presentatori goffi e refrain raggelanti l'unica regina è Nilla Pizzi

Papaveri, papere, ritornelli. Ecco il meglio del peggio

E così sono arrivato al mio Sanremo numero sessantasei. I primi cinque orecchiati alla radio mentre ero alle elementari, gli altri, dalle medie alla pensione, visti in tv. Come mi appresto a fare da martedì. Che ci volete fare, è più forte di me, il Festival è un'attrazione irresistibile. Tra mille ricordi, di un rimbambito, potrebbe aggiungere qualcuno, avvicinandosi drammaticamente alla verità, provo a dare le mie pagelle. Con il mio animo di Sconsigliatore che pende inesorabilmente verso il peggio.

L'INCIPIT (SÌ, INSOMMA, L'INIZIO PIÙ AGGHIACCIANTE)

Qui sono in dubbio. Gondolì gondolà, cantata da Sergio Bruni e Ernesto Bonino, terza classificata nel ì62, che comincia così: «Un'inglesina sul Canal Grande guarda la luna, sospira e fa: gondola gondola gondolì, gondola gondola gondolà». Non le è certo da meno la popolarissima Aveva un bavero, vincitrice morale del quarto Festival, dove fu premiata la caramellosa Tutte le mamme. Ecco il là del Duo Fasano, replicato senza pietà dal Quartetto Cetra: «Nelle sere fredde e scure, presso il fuoco del camino, quante fiabe quante storie raccontava il mio nonnino».

LE VALLETTE PIÙ IMPAPERATE

Nel '57 la tuttacurve Marisa Allasio, neo «povera» (ancora per poco, visto che stava per sposare il conte Pier Francesco Calvi di Bergolo, nipote nientemeno che di Vittorio Emanuele III) «ma bella» cinematografica, a suon di ocaggini fece infuriare l'apparentemente serafico presentatore Nunzio Filogamo. Il quale chiese e ottenne la sua testa, il resto gli interessava molto poco, al punto che la vistosa fanciullona la terza serata la vide come me, in tv. Quarantadue anni dopo, ovvero nel '99 per chi non è lesto far di conto, sul podio dei disastri sta alla grande anche la còrsa Laetitia Casta, non ancora in Accorsi, ma già un destino nelle assonanze. Fortemente e incautamente voluta dal conduttor cortese Fabio Fazio, presto tramortito dalle troppe castate, anche se pronunciate con deliziosa letizia.

I PRESENTATORI PIÙ IMPRESENTABILI

Sono rimasti, nella storia con la minuscola, gli inciamponi lessicali di un temerario poker di figli d'arte, mandato allo sbaraglio nell'89 da papà e mamme eccessivamente fiduciosi. Rosita Celentano, Daniel Quinn, Gianmarco Tognazzi e Paola Dominguin avrebbero meritato il titolo onorifico di «I quattro cavalieri dell'Apocalisse». Quando s'impappinava uno, interveniva l'altro, o l'altra, aggiungendo strafalcione a strafalcione in un'irrefrenabile valanga di stecche. Come se in atletica quattro fantozziani staffettisti riuscissero a perdere il testimone ad ogni cambio.

IL TITOLO PIÙ INDIGERIBILE

C'è un anno, il '54, da mettere i brividi. Furono presentati contemporaneamente Berta filava, Donnina sola, Sotto l'ombrello, Arriva il direttore e Cirillino-Ci. Difficile scegliere il più brutto. Salvo arrendersi in blocco all'imbattibile Piripicchio e Piripicchia di tali Tarcisio e Fusco e cantata dai soliti noti, il Duo Fasano, Gino Latilla e il Quartetto Cetra.

IL REFRAIN PIÙ INFANTILE

«Lei aveva un mazzolin di fior e le fragole nel cappellino, ogni fragola un bacin d'amor ed il tempo volò» sussurrava nell'ottavo Festival Claudio Villa, con la complicità di Aurelio Fierro e del recidivo Duo Fasano in Fragole e cappellini, una canzone che faceva scoppiare l'amore tra fruttivendoli e modiste. Gli rispondeva da par suo Gino Bramieri quattro anni dopo, alternandosi, toh chi si rivede, con Aurelio Fierro, in Lui andava a cavallo, che sintetizzava così l'italica passione equestre: «Lui andava spavaldo a cavallo, col cilindro e una rosa all'occhiello, lei diceva che bello che bello, quell'uomo a cavallo è l'uomo del mio cuor». Per la cronaca entrambi i brani andarono dritti in finale.

LA CANZONE PIÙ SPIRITOSA

E finiamo con un «più» che per una volta non vuol dire «meno». Il brano che al Salone dell'Umorismo nella vicina Bordighera avrebbe vinto la medaglia d'oro è Papaveri e papere del trio Rastelli, Panzeri e Mascheroni, ancora attualissima a distanza di ben oltre mezzo secolo. Al Festival del 1952 osò sbeffeggiare i tromboni della politica. «Lo sai che i papaveri son alti alti alti e tu sei piccolina, che cosa ci vuoi far», gorgheggiava Nilla Pizzi, con la platea del casinò in delirio e gli scranni di Montecitorio in ebollizione per la palese offesa. La regina della canzone dovette però accontentarsi del secondo posto.

Fregandosene per altro allegramente della bocciatura, tanto era sua anche la canzone vincitrice, l'iperpatriottica Vola colomba, dedicata a Trieste liberata, e perfino la terza, l'ancor più lacrimosa Una donna prega. E martedì si riparte: pregando che non ci facciano piangere.

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