"Il partigiano americano" da Philadelphia all'Abruzzo per inseguire la libertà

Marco Patricelli ricostruisce le vicende di un figlio di emigrati che voleva scoprire le proprie radici. E che morì da eroe

"Il partigiano americano" da Philadelphia all'Abruzzo per inseguire la libertà

Il nome Renato Berardinucci non dice nulla neppure agli studiosi della Seconda guerra mondiale. È nascosto nell'elenco delle medaglie d'oro al valor militare per la Resistenza, ma di lui si sapeva a malapena che era nato a Philadelphia nel 1921 e che venne fucilato dai tedeschi nel 1944. Morì con un atto di eroismo, gettandosi contro il plotone d'esecuzione della Wehrmacht per cercare di salvare i suoi compagni: due scamparono alla morte proprio per quel gesto disperato, un altro, Vermondo Di Federico, avrà il suo stesso destino e una medaglia postuma. Come in una tragedia greca tutto si consuma davanti agli occhi della madre di Renato, Antonietta.

Adesso questa vicenda viene raccontata, e bene, dallo storico e giornalista Marco Patricelli in Il partigiano americano. Una storia antieroica della Resistenza (Ianieri, pagg. 304, euro 17). Il racconto comincia a ritroso, nel 1957, quando il padre di Berardinucci torna in Italia da New York; nel paese di Picciano, in provincia di Pescara, di cui è originario, noleggia un'automobile per farsi portare a San Pio delle Camere, vicino L'Aquila. C'è una sola auto disponibile, una Fiat 1100 E nera, la guida un giovane che si guadagna il pane facendo la spola tra l'Abruzzo e il porto di Napoli, da dove partono e tornano le navi dell'emigrazione. Si chiama Lucio, è il padre di Marco Patricelli e la foto di copertina che lo ritrae con quell'auto sembra indicare l'ineluttabile direzione della tragedia.

Durante il viaggio, Lucio scopre il motivo per cui il passeggero taciturno va a San Pio: vuole vendicarsi della spia che nel giugno del 1944 tradì Renato Berardinucci consegnandolo alla morte. Lucio durante la guerra era ragazzino, ma lo conosceva bene. Era lì quando - nel minuscolo paese di Piccianello, dove Berardinucci aveva creato una banda partigiana - un sergente tedesco lo aveva riconosciuto nonostante fosse camuffato da contadino e gli aveva sparato con la pistola, mancandolo d'un soffio, come testimoniano ancora i buchi sul muro della chiesa. Berardinucci aveva compiuto un errore, si era fermato a leggere il manifestino con la taglia che i tedeschi avevano messo perché aveva ucciso un ufficiale in uno scontro a fuoco, e il soldato si era insospettito di un contadino che sapeva leggere.

Il suo destino era segnato, eppure era stato fatto tutto per sottrarlo a un fato implacabile. I genitori erano emigrati a Philadelphia nel 1920 in cerca di una fortuna che avevano in qualche modo trovato, lavorando sodo. Il riscatto economico, il riscatto sociale, il riscatto culturale passavano anche da quel giovane bravo negli studi, che era già americano e libero dalla miseria del paese d'origine. Ma nel 1939 la madre aveva deciso di portarlo in Abruzzo perché, grazie alla doppia cittadinanza, non avrebbe fatto il soldato né negli Usa né nell'Italia fascista. Non poteva immaginare di portarlo, invece, alla morte.

Renato frequenta a Pescara il liceo classico, dove conosce un ebreo viennese sfuggito all'Anschluss e alle persecuzioni naziste, Hans Lichtner, la cui famiglia è protetta dal prefetto Renzo Chierici (che nell'aprile 1943 diventerà capo della polizia) per intercessione di Italo Balbo. Il ragazzo decide di entrare nella Resistenza e di creare una banda di patrioti per lo choc di una realtà completamente diversa e arretrata rispetto a quella americana, per l'apertura mentale che gli deriva dall'amico cosmopolita, per il divampare della guerra con gli Usa che gli chiude per sempre ogni canale con il padre Vincenzo e il fratello Luigi, per il dramma del primo bombardamento di Pescara proprio a opera degli americani, il 31 agosto 1943. Tiene i collegamenti con gli agenti paracadutati dagli Alleati, con i compagni elabora piani audaci e quasi mai applicabili, tranne la beffa con cui a Penne portano via le armi dal deposito, grazie a Lichtner che parla tedesco.

Nel dopoguerra di tutto ciò si perse quasi la memoria. Finché, negli anni Novanta, quasi casualmente, Marco Patricelli apprese dal padre Lucio della figura di Berardinucci e di quel tragico viaggio verso la vendetta. Allora Patricelli trovò e ascoltò tutti i partigiani della banda, raccogliendo racconti e dettagli fuori dalla retorica e dalle iperboli della narrazione resistenziale.

Ora ci racconta una storia che sembra un romanzo ma dove tutto è rigorosamente vero. Berardinucci, adesso, non è più un nome senza una storia, ma se volete sapere se suo padre riuscì a consumare la vendetta, dovete leggere il libro, ne vale la pena.

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