Più ritmo, meno gossip. La lezione dell'Eurovision

Tra alti e bassi, lo show ha confermato che il pop può fare grandi ascolti. Senza bisogno di altro

Più ritmo, meno gossip. La lezione dell'Eurovision

Torino. Che cosa resterà di questo Eurovision? Di certo l'incontestabile successo di ascolti, roba da oltre cinque milioni di spettatori per volta, un bendidio mai visto prima in oltre sessant'anni di (stentata) messa in onda. La Rai ha portato a casa un risultato complessivo che probabilmente manco si aspettava e che conferma quanto detto dal presidente Rai Marinella Soldi, una che parla poco e soltanto quando è necessario: «Nonostante la guerra stia causando dolore e sofferenza in Europa e nel mondo, credo che il pubblico abbia ancora un diritto umano fondamentale alla gioia» ha spiegato ieri a Variety. E poi di questo sessantaseiesimo Eurovision Song Contest rimarrà la conferma definitiva che la musica può diventare spettacolo tv anche per la Rai. La musica e basta. Senza l'aggiunta di comici, ospiti strapagati, scandali, scandaletti o tiritere semipolitiche. E il prossimo Festival di Sanremo non faccia finta di niente. Inutile arrivare alle 2 di notte soltanto allo scopo di fare ascolti: se ci sono ritmo, competizione e musica adeguata (come all'Ariston si è sentita negli ultimi anni), gli ascolti arrivano. E Laura Pausini, Alessandro Cattelan e Mika hanno dettato il ritmo di uno show davvero internazionale, con i tempi internazionali (che poi sono quelli dettati dai social) e, soprattutto, la leggerezza internazionale. Poca autoreferenzialità, molti risultati (anche se ieri sera alla fine dello show i tre conduttori erano distrutti...).

Di certo è stato come sempre un Eurovision con alti e bassi. Tra gli alti c'è senza dubbio, e per la prima volta, una solidarietà diffusa, comprensibile e pure commovente per la Kalush Orchestra che ha portato l'entusiasmo dell'Ucraina grazie a un brano non particolarmente esaltante ma di certo simbolico. Al di là di come sono andate le votazioni, loro hanno vinto con una canzone che, come detto al Giornale, «era dedicata a una mamma, ora è diventata l'inno della madrepatria».

Tra i bassi, quello «istituzionale» è senza dubbio il pasticciaccio brutto della presunta squalifica dell'israeliano Michael Ben David. A un certo punto, complici anche alcune dichiarazioni in sala stampa, sembrava che, oltre a non aver passato la semifinale, il cantante fosse stato anche squalificato per aver baciato «a bruciapelo» Alessandro Cattelan. Tutto falso. In realtà Michael Ben David non ha semplicemente passato il turno e difatti l'Ebu, ossia la grande madre dell'Eurovision, si è guardata bene dal diffondere alcun comunicato in merito. In sostanza, la solita panna scandalistica montata e smontata soprattutto dai social. E tra i bassi senza dubbio c'è anche lo striminzito omaggio a Raffaella Carrà, neanche un minuto per una artista che ha fatto l'Europa molto più dell'Eurovision. Ed è stata nettamente sotto la media pure qualche deriva troppo trash come quella dei norvegesi Subwoolfer travestiti da Simpson nel Bar di Guerre Stellari. Tutto bene, ma anche no.

E pure The Rasmus, con un brano scritto da una leggenda come Desmond Child, non hanno ripetuto il successo di In the shadows. E poi c'è il caso Achille Lauro, che avrebbe meritato la finale ma ha comunque rimediato una batosta che impiegherà molto ad assorbire. In sostanza l'Eurovision Song Contest ha svoltato un'altra volta.

Dopo aver definitivamente lanciato l'anno scorso i Maneskin, stavolta ha consolidato un format così rinnovato e vincente da poter ispirare anche altri Festival a metà tra musica e tv. Come quello di Sanremo, ad esempio.

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