La politica della pandemia: meno democrazia liberale

Il filosofo (di sinistra) esprime una critica radicale dell'emergenza come estensione dei poteri dello Stato

La politica della pandemia: meno democrazia liberale

La realtà a volte riserva sorprese. Non era facilmente immaginabile, fino a poco tempo fa, che, mentre i cosiddetti liberali tacciono, a sollevare il problema del destino della libertà individuale nelle nostre società dopo l'esperienza della pandemia sia un esponente di spicco del Radical Thought, cioè della teoria postmarxista che più ha corso nelle università anglosassoni.

E proprio la statura internazionale di Giorgio Agamben rende particolarmente significativo il libretto ove sono raccolte le riflessioni che egli ha maturato in questi mesi, man mano che il virus faceva il suo corso in Italia e, a seguire, negli altri Paesi occidentali: A che punto siamo? L'epidemia come politica, Quodlibet, pagine 112, euro 10. In verità, Agamben all'inizio aveva sottovalutato la rilevanza del coronavirus, definendolo «poco più che un'influenza».

In molti hanno commesso questo errore di valutazione e sono stati costretti a fare autocritica, ma non è questo il problema: il centro della questione è per lui un altro. La sua tesi è che, vera o simulata (cioè abilmente «costruita») che sia, la pandemia è «il pretesto» che «i poteri che governano il mondo hanno deciso di cogliere per trasformare da cima a fondo i paradigmi del loro governo degli uomini e delle cose».

In sostanza, per il filosofo è come se, in cuor loro, costoro condividessero l'analisi di Putin sull'obsolescenza del liberalismo, che pure avevano aspramente criticata, e siano perciò disposti ad «abbandonare senza rimpianti i paradigmi delle democrazie borghesi, coi loro diritti, i loro parlamenti e le loro costituzioni».

Dico subito che parlare di «poteri dominanti», o di «Grande capitale», non suona bene ad un orecchio liberale, che è abituato a ragionare in modo individualizzante e non in modo generico o per entità collettive. Ma che sia in corso da anni un processo di depotenziamento delle classiche istituzioni liberali, e non solo in Italia ove l'abuso dei decreti leggi, solo per fare un esempio, è in corso da almeno venti anni, è un fatto e nessuno può negarlo.

In questo senso, la pandemia ha dato il colpo di grazia alle vecchie istituzioni e prassi in virtù di una sorta di combinato disposto di due fattori: da una parte, la mancanza di scrupoli o la leggerezza con cui le classi dirigenti hanno agito sulla strada della soppressione di importanti libertà fondamentali (movimento, associazione, privacy, ecc.); dall'altra, l' accondiscendenza con cui i cittadini hanno accettato tutto ciò in nome di un «diritto alla salute» diventato un assoluto metafisico o un' «obbligazione giuridico-religiosa» (sembra quasi di ritrovarsi in certe pagine tocquevilliane in cui in cambio della tranquillità l' uomo democratico rinuncia con facilità a ogni prerogativa umana). Il risultato è stata «l'instaurazione di un puro e semplice terrore sanitario e di una sorte di religione della salute».

La formula che è stata escogitata è quella dell'emergenza, che poi non è altro che lo «stato d'eccezione» di schmittiana memoria: chi ci governa avoca a sé tutti i poteri, e quindi la sovranità («sovrano è chi decide sullo stato di eccezione»), bypassando il parlamento e anche gli organi di controllo e garanzia, ma lo fa per il bene di noi tutti. Che è poi null'altro che il paternalismo contro cui si batteva Kant e che per molti rispetti segna il ritorno ad un'età precedente a quella liberale, la quale ultima si fonda solo sulla responsabilità individuale e il rispetto della legge.

Che il meccanismo, o «dispositivo» come lo chiama Agamben, funzioni, lo dimostra il fatto che chi ci governa lo ha alimentato e nemmeno ora che il virus ha perso forza e consistenza intende abbandonarlo. Certo, una seconda ondata potrebbe anche esserci, così come non, ma giocarsela in modo preventivo, come vorrebbe fare il nostro presidente del Consiglio, è abbastanza disvelatore di una mentalità e di ciò a cui stiamo andando incontro.

Fra l'altro, altre emergenze potrebbero presto arrivare, a cominciare da quella economico-sociale che tutti prevedono per l'autunno. Senza considerare il fatto che, in un mondo globalizzato, catastrofi di ogni tipo, alcune forse nemmeno immaginabili, sono sempre dietro l'angolo. Se ci abituiamo all'idea che esse possono essere governate solo in stato d'eccezione, il rischio è che ci si avvii, anche indipendentemente da quella consapevolezza progettualistica a cui a volte sembra alludere Agamben, verso un mondo in cui l'eccezione diventa la regola e le libertà individuali diventano un optional.

La gestione della pandemia, in questo senso, non ha fatto altro che portare alle estreme conseguenze certe tendenze già in

atto nel nostro mondo. Ed ha funzionato come una sorta di esperimento sociale per il potere del futuro. Il fatto che l'esperimento sia riuscito è fatto che a tutti, e in primo luogo ai liberali, dovrebbe far tremare i polsi.

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