Il Potere nelle serie tv ci incanta (e confonde)

La politica in ogni sfumatura appare in "West Wing" o "Game of Thrones". E ci influenza...

Il Potere nelle serie tv ci incanta (e confonde)

Di fronte ai pochi rappresentanti superstiti delle principali casate di Westeros, radunati nella Fossa del Drago di Approdo del Re, per discutere le sorti dei Sette Regni dopo lo scontro finale andato in scena proprio nella capitale del Continente Occidentale, il sempre arguto Tyrion Lannister si domanda: «Cosa unisce le persone? Armate? Oro? Vessilli?». «No», osserva il folletto nel suo breve monologo, «le storie». E prosegue: «Non c'è niente di più potente di una buona storia», proprio perché «niente può fermarla», «nessun nemico può distruggerla». Quella raccontata da Game of Thrones la serie televisiva Hbo ispirata alle Cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin è certamente stata una buona storia, al di là delle immancabili critiche rivolte ad alcune scelte narrative dei suoi due ideatori David Benioff e Daniel B. Weiss. Una storia capace non solo di tenere incollati di fronte a differenti device (tv, tablet, smartphone) milioni di spettatori in tutto il mondo per ben otto stagioni, ma anche di raccogliere un numero di riconoscimenti, fra nomination ricevute e premi vinti, davvero incredibile. In altri termini, una storia di potere che evidenzia e, al tempo stesso, celebra il potere di una storia.

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The West Wing, House of Cards, Scandal, Homeland, Occupied, Borgen, The Good Wife, Veep, Spin City, Secret State, The Politician, 1992-1993-1994 (ovviamente, da un'idea di Stefano Accorsi), oltre che la già citata Game of Thrones, ma se ne potrebbero aggiungere molte altre, sono tutte serie tv che raccontano il potere in maniera più o meno verosimile da differenti prospettive e in contesti diversi. E, al di là del loro maggiore o minore successo, sono entrate in pianta stabile nella cultura popolare nazionale e internazionale. Tanto è vero che alcuni protagonisti di queste serie tv sono diventati addirittura dei veri e propri stereotipi della politica. Stereotipi che hanno contribuito a veicolare specifiche e contrastanti visioni della politica. Senza alcuna pretesa di esaurire l'argomento, si può tentare di proporre un paio di sintetiche suggestioni che chiamano in causa tanto le grandi regolarità della politica quanto le odierne dinamiche del sistema globale. In The West Wing, per esempio, il presidente Josiah Jed Bartlet e il suo staff non solo hanno contribuito a mostrare in profondità alcuni aspetti del processo politico americano, giungendo persino ad avere seppur nella finzione scenica dei punti di contatto con l'attualità politica, ma hanno anche e soprattutto offerto una visione essenzialmente positiva della res publica, opponendosi ad alcuni cliché dell'antipolitica o del populismo. L'altro volto del potere quello, per dirla con Gerhard Ritter, «demoniaco» è invece incarnato da Frank e Claire Underwood di House of Cards, che con cinismo e ferocia lottano in maniera violenta e immorale (ben più che amorale, come insegna la tradizione realista) per acquisire, mantenere e accrescere la propria influenza e il proprio dominio. Nell'adattamento americano dell'omonima serie britannica e del romanzo di Michael Dobbs, che in alcuni momenti sembra una tragedia shakespeariana, la politica viene presentata in una visione esclusivamente negativa. Ma una concezione della politica piena di intrighi, sesso e violenza è altresì al centro di Game of Thrones. Le dinamiche della lotta per il potere, nella rappresentazione iconica offerta dal Trono di ferro forgiato da Aegon il Conquistatore con le spade dei suoi rivali, sferzano il Continente Occidentale. Una società, quest'ultima, concepita come luogo del conflitto, nella quale, pertanto, non c'è (quasi) alcuna possibilità di cooperare in vista del bene comune, e il più forte come direbbe Tucidide, sulla scia di Callicle e Trasimaco è destinato necessariamente a governare sul più debole. I protagonisti di Game of Thrones evidenziano infatti una antropologia negativa, secondo la quale esattamente come osserva Thomas Hobbes nel capitolo XIII del Leviatano sono tre i motivi fondamentali che guidano ogni azione umana: ossia la «competizione», la «diffidenza» e la «gloria». Il realismo politico, d'altronde, domina la scena della serie di Benioff e Weiss. La figura di Tywin Lannister sembra uscita da Il Principe di Niccolò Machiavelli. Il Lord di Castel Granito, infatti, preferisce essere temuto piuttosto che essere amato. Cersei Lannister, sulla scia degli insegnamenti del padre, esercita il potere in maniera cinica e spietata sia nei confronti dei sudditi, sia nei confronti dei nemici (che lascia soli a combattere contro la minaccia degli estranei guidati dal Re della Notte).

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Nel 1974, prendendo le mosse dal dibattito tra elitismo e pluralismo, Steven Lukes pubblicava probabilmente la sua opera più famosa, Power: A Radical View, un'analisi destinata a suscitare aspre polemiche e accese discussioni. Lo studioso britannico, infatti, evidenziava le «tre dimensioni», i tre volti del potere: primo, l'agire concretamente in maniera intenzionale nelle questioni politiche e sociali; secondo, la capacità di controllare l'agenda escludendo ciò che potrebbe creare controversie; terzo, infine, la capacità di influenzare o determinare i desideri altrui. Nel passaggio dal volto pubblico al volto nascosto, il potere dimostra di essere una capacità, piuttosto che un esercizio effettivo. D'altronde, come osserva Lukes, « riuscire a influenzare i desideri degli altri e garantirsi la loro acquiescenza tramite il controllo dei loro pensieri e desideri non è forse la prova di potere più lampante che esista?» (S. Lukes, Il potere.

Una visione radicale, Milano, Vita e Pensiero, 2007, p. 38).

E, molto probabilmente, un modo per influenzare i pensieri e i desideri dell'essere umano è quello di offrirgli delle storie di potere che possono essere comodamente seguite dal divano del salotto.

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