Pechino Express stronca la cultura dell'immagine

Lo chiamano reality-adventure ma è una sorta di "Giochi senza frontiere on the road"

Pechino Express stronca la cultura dell'immagine

Terza edizione di Pechino Express, il format creato in Olanda da Ludo Poppe e riproposto in Italia con la produzione di Magnolia. Un gruppo di concorrenti, persone famose e sconosciuti divisi in coppie, deve percorrere un itinerario nei paesi asiatici con un budget giornaliero di due dollari, confidando nella generosità della popolazione locale per ottenere un passaggio, un letto per dormire, del cibo da mettere sotto i denti (Raidue, ore 21,10, share dell'8,68 per cento). Nella quinta tappa il percorso era di 591 chilometri, dall'isola di Penang a Kuala Lumpur, capitale della Malesia.


Lo chiamano reality-adventure, ma è una sorta di «Giochi senza frontiere on the road», un'«Isola itinerante» nella quale, rispetto alle scorse edizioni c'è meno riciclo di personaggi a caccia di una second life televisiva e più game collettivo. Un gioco di ruoli televisivo, come si è visto con il rimescolamento delle coppie in alcune prove. Il contrasto visivo tra l'esotismo dei paesaggi, le piantagioni del tè, i tramonti infuocati, e i volti sfatti dei concorrenti, alcuni ex patinatissimi come Eva Grimaldi o la showgirl Mariana Barrios, è un colpo mortale alla cultura dell'immagine. Tutto funziona grazie all'autoironia dei protagonisti (notevole la coppia dei Coinquilini, la iena Stefano Corti e Alessandro Onnis), innescata dall'ottimo Costantino della Gherardesca, il più scanzonato della compagnia.


Perfetto anche il lavoro di

montaggio degli autori, pronti a cogliere le situazioni più grottesche mantenendo il ritmo del gioco. Ultima trovata: le note divulgative storico-geografiche sui luoghi che danno l'idea di divertirsi apprendendo qualcosa

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