Parlare di epica nel romanzo oggi sembra quasi di cattivo gusto. Le grandi storie, le Visioni, i protagonisti ancorati all'Umano e alla sua complessità irrisolvibile e non a insignificanti dettagli di vita ordinaria e quotidiana sono riservate a pochi e molto poco apprezzate. Marilynne Robinson, classe 1943, Idaho, fa eccezione. E anche solo per questo è una narratrice imperdibile, gigante nella prosa, salda nello stile, fuori dal tempo nei fuochi su cui si concentrano le sue trame. Tanto che ci si chiede se sia davvero una donna dei nostri tempi, che scrive qui, oggi. Tanto che quando è apparsa un mese fa al Salone del Libro di Torino era in Italia per ritirare il Premio Mondello - con i suoi capelli bianchi e la riga di lato, così ineluttabilmente contemporanea nel suo essere fuori moda, la platea ne è rimasta fulminata. Premio Pulitzer nel 2005 per il primo dei romanzi della sua trilogia sulla fede, Gilead, ha chiuso il cerchio da poco con la pubblicazione anche il Italia, dopo il secondo, Home (2011) del terzo titolo, Lila (tutti Einaudi, tutti tradotti da Eva Kampmann). Il comune le tre storie hanno tutto e nulla, intesi in senso assoluto: la presenza della Grazia, altro anacronismo prezioso come l'aria, la richiesta di senso specifica della voce narrante di Lila ma presente in ogni riga e il concetto di «casa», che solo a volte coincide con l'appartenenza a un'America limpida, solitaria, inconsolabile sotto il continuo assedio di una solitudine che ferisce ma non acceca, come in altri, classici romanzi americani in cui è la violenza ad avere il sopravvento.
Forse perché la Robinson, di fede protestante calvinista elemento biografico su cui troppo spesso si sorvola, in tempi in cui di fedi diverse si parla così tanto - crede in una distinzione tra Bene e Male, anch'essa terribilmente fuori moda? "Penso che la visione di Calvino sia utile, che ci sia sempre una domanda implicita in ogni incontro" ci spiega quando le chiediamo la sua definizione di Bene e Male. "E la domanda è: che cosa vuole Dio da questo istante? Sempre se diamo per certo che Dio sia fedele a ogni persona che incontriamo come lo è a noi e che ogni nostro incontro abbia quella dignità assoluta che l'immagine divina gli conferisce. Questa considerazione porta con sé due conseguenze: attenzione, immaginazione, rispetto sono continuamente chiamati in causa, nelle nostre vite. Abuso e sfruttamento sono proibiti. La domanda stessa, in ogni sua variante, non è altro che una istruzione per orientarci nella complessità dell'esistenza. Rende imperativa una passione ogni volta più vasta, ogni volta più profonda".
Sembra sia, questa domanda, la stessa istruzione che la Robinson segue per creare i propri personaggi: l'anziano pastore congregazionalista John Ames, che incontriamo in Gilead per la prima volta, la sua giovane moglie Lila, il vecchio pastore presbiteriano Robert Boughton. Persino i luoghi, anzi il luogo d'elezione delle storie, una cittadina nascosta da sconfinate distese di granturco, abitata da famiglie piene di figli, di silenzi, di durezze. Persino i luoghi parlano di eventi così colmi di significato che basta guardarli, nel loro succedersi, per poterne cogliere la pienezza: "Un personaggio che veda il mondo in questo modo" ci racconta la Robinson, che insegna scrittura creativa alla Iowa University "non può fare altro che creare autonomamente un mondo narrativo ricchissimo".
Un mondo che, per questa autrice originale (più di una volta ha ripetuto che se la gente leggesse Calvino oggi, al posto di Max Weber, lo rivaluterebbe al volo), intervistata da Obama lo scorso autunno perché i suoi libri sono i primi nella lista dei preferiti del presidente, si fonda su una precisa idea di cultura americana: "Gli americani cambiano di continuo, rifioriscono, direi, in modo consistente con il proprio passato e con il territorio, in una ecologia che è un mélange di altre culture e che, persino nei suoi insediamenti più antichi, non ha mai radici così profonde come quelle degli altri paesi. E ciò nonostante, l'America rimane uguale a se stessa come nessun altro paese. Accoglie il cambiamento al punto che se non accade vede accrescersi l'ansia. Ma possiede un profondo tradizionalismo che supporta una continuità di legge e governo unica tra gli stati moderni. Incoraggia l'individualismo e al contempo la fascinazione per le regole e per standard oggettivi che vanno dibattuti e corretti all'infinito. Inutile dire che questo ci aiuta moltissimo nel capire che cosa fare con i migranti". Ovvero una delle grandi ansie dell'uomo contemporaneo, ma per la Robinson non la più grande: "Oggi il problema è l'ambiente in cui viviamo. Lo sfruttamento dei mari, ad esempio, di cui nessuno parla mai. Perché non esiste solo il cambiamento climatico". Anche per gli scrittori esiste una minaccia incombente? "In molti luoghi del mondo gli scrittori sono in pericolo.
Niente di nuovo. Cicerone fu ucciso per motivi politici. Ma nei paesi liberi c'è una minaccia altrettanto grande per chi scrive: la banalizzazione. Direi infine che la più grande minaccia per gli esseri umani sono gli esseri umani".
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