Quell'eremita in pubblico seguace di stile e tradizione

Sotto un tratto discreto da anacoreta aveva (e scriveva) posizioni estreme. E la voglia di boicottare ogni utopia

Quell'eremita in pubblico seguace di stile e tradizione

È morto il massimo stilista e stilita della letteratura italiana. Che Guido Ceronetti fosse il massimo stilista non è un'idea mia, è una realtà oggettiva dimostrata dal fatto che grazie all'eleganza formale era stato capace di far passare i contenuti più pesanti e riprovevoli anche sui giornali più allineati (La Stampa, la Repubblica, Corriere della sera), oltre che nei cataloghi degli editori più rarefatti (Adelphi). E chissà se era una strategia, un calcolo, oppure se gli veniva naturale. Sta di fatto che scriveva frasi più ostili all'immigrazione di un tweet di Salvini: «Molti ospiti, molta canaglia». Poteva essere più antimaomettano di Oriana Fallaci: «L'Oriente islamico è il braccio, con ben poca mente, di qualsiasi tipo di distruzione». Più contrario all'utero in affitto di Costanza Miriano: «Come regresso di civiltà non c'è male: una siringa, una siringatura, la donna parificata alle vacche...». Più antiomosessualista di Carlo Giovanardi: «L'omosessualità è un'invasione della Tenebra: è pratica ctonia, necrofilia». E più antifemminista di me: «Chi guarda più le donne? Dai bruti distogliamo lo sguardo...».

Ceronetti, che non ho mai capito bene di quale religione fosse ma che autore religioso senz'altro era, disprezzava esplicitamente gli atei: «Un vecchio che non prega è un puro e semplice rottame muto». E figuriamoci le atee: «L'ateismo femminile è intollerabile perché è una bruttura, deturpa internamente la donna, e versa sopra di lei come un'imbrattatura di vernice oscena; sentirlo professare, o anche intuirlo, mozza il fiato dal disgusto». Affermazioni che a chiunque altro sarebbero valse l'espulsione completa e definitiva dal consorzio letterario mentre al «céliniano di Porta Palazzo», come ebbe a definirsi omaggiando un pericoloso maestro e un altrettanto pericoloso quartiere torinese, costarono solo qualche lieve, non letale polemica. Sarà che, come ha scritto il suo editore, Roberto Calasso, «un libro è innanzitutto una forma». Se pubblichi con Adelphi e il tuo stile è impeccabile e circondato da un fuoco di sbarramento di riferimenti culturali altissimi e incomprensibili ai più, ecco che puoi persino permetterti di dire ciò che pensi.

Perché stilita, invece? Perché Ceronetti aveva del monaco, dell'anacoreta, dell'eremita, sebbene non vivesse nel fitto dei boschi, né su montagne impervie. Dopo Torino abitò per molti anni ad Albano Laziale e poi a Cetona, dov'è morto. Due piccoli centri tuttavia non troppo appartati, uno vicino a Roma e l'altro nella Toscana vip (pur avendoli scelti non gli piacevano, così come del resto gli dispiaceva quasi tutto: «Questa orrida Albano» scrive nel '77, «Cetona mi piace quanto un pugno di Joe Louis in un occhio» scrive nel '94). Dotato di figura spontaneamente ascetica, viveva in cima alla sua scrittura apocalittica come quei santi del Vicino Oriente vivevano in cima alle colonne: lo stesso tipo di isolamento in pubblico. La sua non era una torre d'avorio, per la quale non ebbe denaro né propensione, era piuttosto un domicilio scomodo e mistico.

Ceronetti aveva dei santi la magrezza, il pallore, il rigido regime alimentare, il vestire senza tempo (iconico il suo basco anni Cinquanta), la povertà se non il pauperismo. Ne aveva anche la fede? Non si presentava certo come cattolico romano e si dichiarò «fedele a qualche lampo di metafisica gnostico-cataro-manichea, per la quale la creazione è opera essenzialmente maligna», ma essendo lo gnosticismo moderno un orientamento filosofico anziché una religione organizzata non è che un simile virgolettato chiarisca molto. Aggiungono incertezza le traduzioni bibliche, i Salmi, l'Ecclesiaste, il Cantico dei Cantici, Isaia, Giobbe, e la spiata di un amico che mi riferì di averlo visto più volte a Messa nella chiesa torinese della Misericordia. Abbastanza ovviamente si trattava di Messa in latino. Dopo il Concilio Vaticano II si batté insieme a Cristina Campo a disperata difesa del rito tridentino contro il cattochitarrismo italofono e trionfante: «Quello fu harakiri del Sacro, come se una banda di talebani avesse mitragliato e frantumato la Pietà Rondanini. Eccola là, in frantumi, la Messa in latino con le sue ali di condor del Gregoriano, sostituito da cori e coretti da pollaio». In tali deplorazioni certi lettori hanno annusato ateismo devoto, posa, estetismo, e fra questi Sergio Quinzio che gli fu per tanti anni amico leale, però non cieco: «Al sacro tu sovrapponi la contemplazione compiaciuta del sacro, alla maledizione il maledettismo, agli abissi il fascino dell'abissità». Nel magnifico carteggio pubblicato da Adelphi si leggono giudizi di Quinzio per nulla compiacenti: le traduzioni bibliche definite «marginali operazioni», le poesie «non autosufficienti»...

Io personalmente considero indispensabile il Ceronetti aforista e in particolare quello dei Pensieri del tè, piccolo scrigno di misantropia e misoneismo in cui se la gioca alla pari con l'amico e maestro Cioran, e il Ceronetti viaggiatore in Italia, che invece aggiorna Piovene iniettandovi dosi di pessimismo talmente forti da ottenere l'effetto paradosso. Quasi ogni località viene ceronettizzata e perciò dipinta come repellente: «A Novara tutto è pessimo», la riviera ligure «è solo un mucchio di cemento con un po' di sporcizia (il mare, l'ex mare) davanti», Firenze risulta un «tuffo nell'immondo», Roma diventa «orrenda capitale del Lazio», Bari «un triste scarafaggiaio di auto e moto». Se le visiti subito dopo aver letto o riletto Un viaggio in Italia e Albergo Italia risultano tutte più belle di quanto ti aspettassi, e ne ricavi sollievo.

Conserverò con cura questi libri, sottolineatissimi, e due cartoline postali che mi spedì dall'immaginario paese di Crumiria, invii trasudanti passatismo (le cartoline postali non usavano più da decenni) e impegno antisociale, la volontà di boicottare ogni utopia di uno scrittore che non si fece mai catalogare politicamente ma che fu sempre nettamente anticomunista, che esordì nel 1971 ossia ultraquarantenne (inconcepibile un Ceronetti giovane) nella Rusconi diretta dal gran tradizionalista Alfredo Cattabiani, con un libro squisito contro gli sbarchi sulla luna. Da subito reazionario e minoritario e con stile.

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