Riecco Dargen D'Amico. "Faccio ballare il Festival per superare il Covid"

Il "cantautorap" sorprenderà a Sanremo: "Non mi toglierò gli occhiali da sole neanche lì"

Riecco Dargen D'Amico. "Faccio ballare il Festival per superare il Covid"

Difficile andare oltre le lenti dei suoi occhiali da sole. «Sono il filtro tra le mie canzoni e il mondo esterno». Non li toglie mai e non lo farà manco all'Ariston «a meno che non mi venga imposto per legge». Di certo nel suo brano c'è uno dei potenziali slogan non solo del Festival ma pure di questo tempo sconvolto: «Fottitene e balla». Dargen D'Amico debutta a Sanremo a oltre quarant'anni (è nato a Milano nel 1980, vero nome Jacopo) con Dove si balla e con un ruolo ben preciso: è un opinion leader dell'hip hop e dell'urban e il suo curriculum è un florilegio di eccellenze visto che ha praticamente iniziato nelle Sacre Scuole con Gué Pequeno e Jake La Furia (poi entrati nei Club Dogo) e poi si è fatto conoscere con il primo disco Musica senza musicisti, che già dal titolo era il suo perfetto identikit.

Un autore, anzi un cantautorap, che ha il suo punto forte nella ricerca stilistica, nei calembour, nelle visioni azzardate che lo hanno trasformato nel punto di riferimento di una generazione di rapper, da Fabri Fibra a Marracash a J-Ax fino a Rancore e Tedua. Senza contare l'amico Fedez, con il quale ha contribuito anche a Chiamami per nome, il brano che il signor Ferragnez ha cantato nel 2021 con Francesca Michielin. Un trio che è arrivato al secondo posto. A questo giro festivaliero, Francesca Michielin gioca con Emma e Dargen debutta da solo: non è che per caso Fedez arrivi a sorpresa come ospite? «Lui ha una particolare sensibilità nell'affrontare gli show tv e vorrei evitargli questo stress», spiega Dargen sorridendo prima di confermare quale sia il loro rapporto: «È un continuo scambio tra amici che si è concretizzato anche nel suo ultimo disco. Diciamo che ci sentiamo molto su whatsapp».

Tra tutti i Big del Festival numero 72 lui è la vera mina vagante. Apprezzatissimo da una nicchia fedele e da tutto l'ambiente musicale, non è di certo un nome popolare. «A differenza di altri, non ho detto che non sarei mai andato al Festival però senza dubbio fino a pochi anni fa Sanremo non fotografava la musica più attuale, ma ora le cose sono cambiate e tutti inseriscono qualcosa di urban nei propri brani». A proposito: il suo? «Ovviamente Dove si balla ha elementi urban ma è soprattutto una dance leggera italiana». Il testo è una iniezione di forza e fiducia. «Dopo la prima fase di gestazione, si è dimostrato un tentativo di leggere questo tempo e di uscire da questa fase orribile e delicata. Mentre lo scrivevamo, aumentavano i contagi ed era difficile tenere fuori il condizionamento del Covid dalla composizione». Dietro gli occhiali da sole con riflessi arancioni, Dargen D'Amico si trattiene un po' e poi confessa la preoccupazione per «categorie molto esposte e fragili come i bambini, che sono il futuro e che ci obbligano a non limitarci a fare tamponi e a tamponare la crisi». Ma nel brano c'è pure un verso imprevedibile, che ricorda il surrealismo (anche sanremese) di Francesco Salvi: «Ciao zio Pino!». Lui spiega che non è una figura particolare ma un omaggio a parenti di uno degli autori (Gianluigi Fazio) e del «socio» Francesco Gaudesi: «Però il riferimento a Salvi mi piace molto».

Quando Dargen D'Amico arriverà sul palco in diretta tv senza dubbio sarà una sorpresa: «Spero che Sanremo sia un punto di ripartenza per tutti». Lui lì cerca «una boccata di novità dopo quasi due anni di immobilismo forzato a causa di questa pandemia».

Essendo un intellettuale del rap, «sono portato a chiudermi già normalmente, figurarsi se si fermano gli stimoli esterni». Nonostante sia in giro da oltre vent'anni e sia tenuto in palmo di mano dall'Olimpo rap, Dargen D'Amico ha davvero il candore dell'esordiente, forse perché è esordiente da una vita. E chissà che cosa si è inventato per la serata del venerdì dedicata alle cover. Lui ha scelto La bambola di Patty Pravo «ma mica ti spiego come l'ho arrangiata». Però, caro Dargen, magari lo ha chiesto a Patty Pravo: «Purtroppo no, ma le ho fatto sapere che mi piacerebbe un suo parere». Capito com'è l'intellettuale Dargen? «Una volta ero in ospedale per trovare un amico. Vado a prendere un caffè alla macchinetta e incrocio Enzo Jannacci, un mio mito.

Lui mi chiede un'informazione ma io non riesco a rispondere. Me ne chiede un'altra e io resto impietrito davanti a una leggenda. Allora si gira e se ne va». E quella volta, forse, dietro gli occhiali di Dargen c'era davvero la luce dell'emozione.

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