Il ritorno di Hitler

Adolf Hitler si alza dal letto di casa e si prepara per andare in tv, dove sarà ospite di uno dei più famosi talk-show. Siamo nel 2014, a Berlino. E il dittatore è tornato. Successo, nelle sale, per il film "Lui è tornato", tratto dall'omonimo romanzo di Timur Vermes

Il ritorno di Hitler

Berlino, inverno 2014. Adolf Hitler si alza dal letto di casa e si prepara per andare in televisione. Oggi sarà ospite di uno dei più conosciuti talk show nazionali ed è importante fare bella figura. Sa che però si deve sbrigare, perché non sarà facile raggiungere gli studi televisivi. Per strada la gente lo fermerà per chiedergli selfie, autografi e strette di mano che gli faranno perdere molto tempo prezioso.

È questa una delle tante scene che compongono il film "Lui è tornato", giunto l’8 ottobre scorso in tutti i cinema della Germania, che sta facendo il record di incassi degli ultimi anni e verrà probabilmente portato anche in Italia. Si tratta di un’opera del regista David Wnendt, che ha messo su pellicola l’omonimo romanzo scritto da Timur Vermes, pubblicato nel 2012 (in Italia da Bompiani), diventato bestseller con oltre due milioni di copie vendute sino ad oggi.

Nel romanzo come nel film, senza spiegare né come né perché, Adolf Hitler si palesa nella Germania del 2014. L’ex Fuhrer del Terzo Reich - impersonato dall’attore italo-tedesco Oliver Masucci - si risveglia una mattina esattamente nel posto dove un tempo si trovava il bunker in cui si tolse la vita (oggi rimpiazzato da un parcheggio e da un ristorante cinese). Stanco, spossato e con la divisa piena di polvere e impregnata di benzina, Hitler è inizialmente spaesato, rendendosi conto che nulla è più come prima: la città è stata ricostruita in maniera totalmente nuova, le vecchie botteghe sono state rimpiazzate da kebab turchi, in alcuni quartieri i tedeschi sono in minoranza e la tanto odiata democrazia è salda e guidata da una donna.

Ciò nonostante il Fuhrer riesce a rimettersi in sesto grazie all’aiuto di alcune persone che non lo prendono veramente sul serio, ritenendolo un incredibile imitatore e un grande intrattenitore. Di questo parere sono anche gli agenti di una casa di produzione televisiva che, incontratolo, decidono di lanciarlo nei media per valorizzare le sue capacità oratorie e sfruttare l’interesse che le sue parole riscuotono negli ascoltatori tedeschi.

Il moderno Hitler si trova dunque catapultato sul grande schermo, da dove riesce a catalizzare l’attenzione di milioni di telespettatori e a far salire gli ascolti tanto da ottenere un suo personale programma televisivo e a diventare un fenomeno virale anche sul web. Il film si conclude con Hitler privo di poteri politici, ma nella posizione di vero leader mediatico della Germania. Posizione, questa, da portarlo a confessare al suo assistente di essere diventato immortale, poiché anche senza cariche ufficiali non smetterà mai di essere presente nell’animo di ogni tedesco. “Su questa base si può lavorare” dice il Fuhrer come ultima frase. Scorrono poi immagini di manifestazioni di Pegida, dei neonazisti della Npd, di Marine Le Pen e di altri politici di destra.

La trama del film è piacevole e scorrevole. Alternando scene umoristiche a momenti più riflessivi, il regista lancia degli spunti col fine di far riflettere a proposito della rinascita dei sentimenti razzisti e xenofobi tra comuni cittadini tedeschi, all’apparenza diventati immuni a ciò. Il suo obiettivo non è quello di attaccare un particolare movimento o partito politico, bensì di mostrare come determinati sentimenti siano tuttora presenti in ampie fasce della popolazione, per quanto i singoli individui non lo riconoscano né pubblicamente né a se stessi.

Particolarmente divertente e umoristica, per esempio, è la scena in cui Hitler entra in una sede della Npd, sbraitando contro i militanti che accusa di avere trasformato il nazionalsocialismo in una barzelletta ridicolizzata pubblicamente. Questa scena, però, è accompagnata da spezzoni di documentari in cui Masucci, travestito da Hitler, gira diverse località tedesche e si ferma in diverse birrerie a discutere con i cittadini della situazione politica e sociale della Germania contemporanea. È sorprendente come molti di essi, pur riconoscendo la natura ludica della situazione, non abbiano esitato ad affrontare discorsi seri, dichiarando apertamente cosa faccia loro più paura per il futuro: l’elevata presenza di stranieri, la perdita di identità, la disaffezione per la classe politica e per le istituzioni.

È a causa di queste paure che, secondo il regista, potrebbero emergere in Germania mobilitazioni popolari che destabilizzino il Paese. Il messaggio che lancia è che, nonostante tutto, sia possibile che le argomentazioni con cui Hitler raggiunse il potere siano ancora presenti nella società, anche se in forma e modalità diverse. Particolarmente decisa è la denuncia della possibilità che i nuovi media non siano un argine ai totalitarismi, ma ne possano facilmente essere un mezzo. Il nuovo Hitler, per esempio, viene fatto entrare a contatto con le più moderne tecnologie che, dopo una iniziale fase di spaesamento, riesce a dominare senza rinunciare all’ortodossia estrema della sua Weltanschauung. Televisione satellitare, smartphone, Google e Youtube diventano un nuovo mezzo per veicolare le stesse teorie in maniera moderna.

Il film non si azzarda a fare previsioni per il futuro. Fa emergere però un fattore chiaro: che in Germania la figura di Hitler continua a vendere. A tal proposito si è focalizzata anche una ricerca della popolare rivista "The European", secondo la quale la faccia baffuta di Hitler è diventato il marchio che maggiormente vende sul mercato tedesco. Perché? Secondo i redattori perché quello che il Fuhrer esercita è un fascino minaccioso dovuto dalla descrizione buia e malvagia che i media tedeschi fanno della sua personalità. L’era nazionalsocialista è descritta come il male assoluto e questo male è un’enorme attrazione che per vendere ha bisogno di un logo, di una faccia: quella di Hitler, che è dunque diventata l’icona commerciale tedesca più venduta di tutti i tempi.

Sempre secondo "The European", che ha ribattezzato questo fenomeno con il nome di “Hitlertainment”, ogni film che nel titolo abbia il suo nome viene visto di più, ogni rivista con la sua faccia in copertina vende più copie. E il successo che lui è tornato sta riscuotendo sembra potere confermare questa teoria.

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