Con questo articolo prosegue la serie di ritratti, firmati da Davide Bregola, di scrittori italiani "appartati", cioè autori contemporanei fuori dai grandi giri mediatici e lontani dai "salotti letterari".
Aldo Busi dov'è finto? Aldo facci sentire di nuovo la tua voce potente e dacci oggi la tua letteratura quotidiana! Non che l'autore sia mai stato accomodante con gli italiani, eh. Ma qui in Italy, appunto per questo, oggi ci serve uno come lui. D'accordo, è sempre stato uno che se ne sta per i fatti suoi. Isolato, solitario, ma almeno fino a qualche anno fa, quando era ora, usciva dal suo isolamento volontario e scombussolava un po' il Belpaese con qualche invettiva puntuale e ficcante. Ora invece sembra essersi rinchiuso nel suo eremo. Lo si è visto uscire un attimo al balcone il 25 aprile. Ha cantato l'Inno di Mameli ed è rientrato. Aldo vieni fuori, esci!
Busi faceva così: mi chiamava alle 8 del mattino e mi diceva di andare a Montichiari perché stava scrivendo e voleva qualcuno in casa a cui fare leggere le pagine nuove. Io prendevo l'auto, pioggia, sole, nebbia che fosse e andavo. In quel periodo Busi era come in uno stato di grazia, faceva cose pazzesche, tipo piccoli video su Youtube in cui arrivava il pedicure a tagliare unghie, togliere calli, c'erano brevi interviste sui massimi sistemi del mondo, c'era lui in giardino, tra i fiori, lui in cucina a fare da mangiare, tuttobusi minuto per minuto. Ogni sua piccola apparizione in video era un evento, un gesto artistico, pura body art. Seguito da una flotta agguerritissima di lettori, sul finire degli anni Zero lo aspettavano su altriabusi.it, un sito a lui dedicato che sparì d'un tratto, ma nel quale interveniva spesso.
È chiaro a tutti no che Aldo Busi per certi versi è considerato uno dei più grandi scrittori viventi e per altri è solo uno che fa spettacolo. Eppure chi è capace di leggere e non avere pregiudizi sente nelle sue pagine, anche in quelle meno riuscite, un lessico e una sintassi che lo distinguono da tutti quelli che scrivono e basta. C'è il Busi di Seminario sulla gioventù in cui si raccontano le scorribande, la vita grama e gloriosa di Barbino con tutta quella vitalità e sofferenza tipica del capolavoro di formazione. Ogni riga piena di letteratura, di esistenza vissuta, di registri su registri letterari passati in rassegna con argute note ironiche e tragiche. Ogni capitolo un fuoco d'artificio per la mente. Il bello è che Busi è così anche nella vita reale: uno che ne ha passate di tutti i colori, con una memoria allucinante grazie alla quale ricorda anche le vite precedenti la sua. Ti parla tranquillamente di sua madre, di suo padre, della vicina di casa, della maestra e va indietro nel tempo, va indietro, indietro, e mentre ti parla della zia, della nonna, della prostituta di Brescia, del maniscalco di Ghedi, ti parla anche della storia d'Italia del 900, e giù fino all'800 e tu che lo ascolti non stai ascoltando uno che ti parla dei fatti suoi, ma ti sta spiegando la storia ricostruita attraverso la vita quotidiana delle persone. Capito la differenza?
Io Busi lo andai ad ascoltare a Revere, in un cinema di paese, quando uscì nel 1998 il libro Aloha! dove in modo romanzesco e scoppiettante dà la sua versione dei fatti sull'amore e sui viaggi. Fu una presentazione pittoresca perché accaddero molte strane cose. Litigò con uno del pubblico che gli disse di non aver apprezzato il libro. Busi si alzò dalla sedia urlando: «Lei che cosa legge?». «Ma... io leggo la Mansfield!». «A si? Quella lesbica di Wellington... vada vada!». Aveva un tono di quelli che ti sfascia l'anima. Infatti il tipo si volatilizzò, letteralmente. Poi, non so con quale logica, in quella stessa serata proiettarono Il deserto dei tartari tratto dall'omonimo romanzo di Buzzati e m'addormentai. A quel punto però volevo conoscere Busi di persona per parlargli, perché nel frattempo avevo scoperto con più attenzione i suoi romanzi Vendita galline Km2, Vita standard di un venditore provvisorio di collant e La delfina Bizantina. Era un'illuminazione poter leggere uno scrittore come lui che ti parla molto della provincia, dei personaggi che la abitano, eppure rende tutto così chic, così internazionale, così nuovo, colorato e drammatico eppure classico. In alcuni libri scrive paragrafi infiniti, lunghi e tortuosi, pieni di subordinate, e a guardarla da un certo punto di vista Proust sarebbe fiero di lui. Busi libero come un fringuello può permettersi di scrivere e riscrivere e rieditare i suoi libri quante volte vuole, può passare da un editore all'altro senza essere scalfito da convenienze e interessi, può chiedere un fracasso di soldi e, come per magia, sembra tutto dovuto, tutto concesso. Intanto la sua casa: è leggermente spostata dal centro, con un muretto che impedisce di vedere all'interno. C'è un piccolo cancello in ferro battuto e sul campanello il suo nome. Anni fa per il piacere di compiere un pellegrinaggio partii da Mantova con l'intenzione di andare a vedere dove abitava lo scrittore. Arrivai in paese e iniziai a farmi ispirare dai luoghi. Non avevo la più pallida idea di dove abitasse, ma conoscevo il nome della via perché trovai il suo numero di telefono sulle Pagine Gialle. Cercavo, cercavo, poi vidi un signore vestito da contadino, con stivaloni infangati e gli chiesi informazioni. Mi indicò la strada giusta. Arrivai a ridosso di un antico mulino: casa Busi. Ero tentato di suonare al campanello, ma non sapevo cosa dire. Ero andato lì solo per curiosità, per respirare odore di letteratura. Qualche anno dopo ci conoscemmo per motivi di lavoro. Su altriabusi.it scriveva lunghi commenti, riportava sms, trascriveva e-mail e lettere talmente belli, ricchi di suggestioni, tuonanti, delicati, persuasivi, ficcanti... insomma io lì dentro ci vedevo un libro. Busi nel 2010, anno più anno meno, insisteva nel dire che non avrebbe più scritto romanzi, perché in fondo in fondo gli italiani non se lo meritavano uno come lui, ma io avevo la risposta pronta. D'accordo, tu non vuoi più pubblicare romanzi, ma se mi dai il consenso ricicciamo quei piccoli capolavori scritti sul sito e li facciamo diventare un libro che spacca! Questa era la mia intenzione e glielo scrissi.
Fu allora che ci scambiammo i numeri di telefono e iniziammo un dialogo. La prima volta ti vuole studiare, così non ti invita direttamente a casa sua, ma vai al bar a bere un caffè. Arrivò a piedi in piazza a Montichiari con pantaloni della tuta e maglioncione di lana grossa. La volta successiva mi invitò a casa. Era piena di opere d'arte, roba di pregio. Per pranzo mi preparò un coniglio alla cacciatora fatto con le verdure del suo orto. Bevemmo un Montepulciano e disse che alla fine, se ci guardi bene, nei suoi settant'anni di vita ci saranno sì e no 10 ore di apparizioni tv, e se anche aveva preso 427.000 euro dall'Isola dei famosi, almeno il 60% era andato in tasse. In compenso si mise a scrivere di nuovo. Andava nel suo studio, sentivi battere sulla tastiera. Non potevi entrare, dovevi stare seduto in salotto, su un divano bianco, pieno di cuscini. Eri in mezzo ai quadri, alle sculture. Ti arrivava un foglio da leggere e commentare. Tornava di là a scrivere e veniva con alcune pagine stampate. Non che le avesse scritte lì sul momento, ma erano appunti scritti negli anni, quasi definitivi.
Mi disse chiaro e tondo che quel libro ricicciato, di cui avevo in mente, non avrebbe mai accettato di farlo, ma io non ebbi mai il coraggio di rispondergli che il coniglio alla cacciatora mi faceva schifo. Adesso ho qui con me Le consapevolezze ultime e me lo leggo. Torna Aldo!
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