Se due artisti della musica navigano su quel «ramo» del Po

Massimo Zamboni e Vasco Brondi sono le «Anime galleggianti» che raccontano una striscia d'Italia che nessuno guarda davvero

Camillo Langone

Invidia, tremenda invidia. Piacerebbe a tutti noi adulti realizzare insieme agli amici un sogno adolescenziale, scriverne un veloce resoconto, consegnarlo a una casa editrice e finire dritti in classifica. Ci sono riusciti Vasco Brondi e Massimo Zamboni, due musicisti di culto, il primo cantautore con il marchio Le Luci della Centrale Elettrica, il secondo chitarrista fin dal tempo dei CCCP, quando faceva coppia con Giovanni Lindo Ferretti. I due ragazzi fortunati sono salpati da Governolo, nel Mantovano, a bordo di una zattera di alluminio un po' brancaleonesca o un po' herzoghiana (dipende dai riferimenti cinematografici di ciascuno), diretti al mare attraverso un canale navigabile che si insinua tra Adige e Po e per un tratto si chiama Tartaro, per un altro Canalbianco. A bordo oltre a un fotografo c'erano, fantasmi innumerevoli volte evocati, i due massimi maestri di vagabondaggi padani: Gianni Celati e Luigi Ghirri. Durante il percorso sono apparsi anche altri autori molto padani o almeno molto fluviali fra cui Mark Twain, Zavattini, Antonioni, Bassani, siccome i due oltre che fortunati sono ragazzi colti.

Perché leggere Anime galleggianti. Dalla pianura al mare tagliando per i campi di Vasco Brondi e Massimo Zamboni (La nave di Teseo, pagg. 140, euro 15; fotografie di Piergiorgio Casotti)? Innanzitutto perché, nonostante la medesima radice slow, non si tratta del milionesimo diario di viaggio a piedi sulla Francigena o simili vie da scarpinatori letterari (Brizzi, De Luca, Moresco, Scarpa, Baldanzi...). Alcuni scritti bene, ci mancherebbe, ma il troppo stroppia. Spero dunque che Brondi e Zamboni non pensino a un seguito e che non abbiano imitatori e che il viaggio sul canale rimanga un carismatico pezzo unico. Poi per conoscere meglio due personaggi cruciali, sebbene ignoti al gran pubblico televisivo, della canzone italiana. Visto che il paesaggio tende al monotono è d'uopo movimentare la pagina con frammenti di autobiografia e così conosciamo la vita da montanaro di Zamboni, alle prese con le talpe che gli mangiano i carciofi e con i ghiri che gli rubano le chiavi, ma pure con corroboranti grappe clandestine, e la collaborazione di Brondi con Jovanotti, che non rimedia una gran figura. Il quasicinquantenne riempi-stadi chiese suggestioni all'emergente appenatrentenne che gli consegnò il testo di L'estate addosso, successo del 2015. Ma la parola «ruggine» venne espunta: «Lorenzo diceva che non andava bene perché la ruggine è una cosa fuori tempo, che i ragazzini adesso non sanno neanche che cos'è la ruggine». Ecco il motivo per cui i testi di Jovanotti, a differenza di quelli firmati Luci della Centrale Elettrica, così poetici, sono sempre così piatti: non è piatto lui, è piatto (o considerato tale) il pubblico a cui si rivolge. Quando si dice «un successo studiato a tavolino»... Purtroppo dopo quell'episodio Vasco Brondi si è giovanottizzato trasformandosi anch'egli in machiavellico censore e perciò impedendo a Zamboni di intitolare il libro Autunno sul Tartaro. Con la motivazione che i nuovi lettori nulla sanno di mitologia e avrebbero pensato al romanzo di un dentista malinconico.

Il terzo motivo per leggere Anime galleggianti, per me il principale, è la fotografia della Padania profonda, striscia d'Italia che tutti, in autostrada o in ferrovia, attraversano, ma che per colpa della velocità nessuno vede davvero. Per trarne il massimo profitto andrebbe letto in parallelo col celatiano Verso la foce (del 1989) e con lo zavattiniano Viaggetto sul Po (del 1967), libri altrettanto brevi ma capisco che l'amico lettore abbia anche altro da fare quindi ci ho pensato io a riprenderli in mano per le dovute comparazioni. Ecco un'estrema sintesi: al tempo di Zavattini i paesi erano pieni di vita, al tempo di Celati erano vuoti, al tempo di Brondi e Zamboni sono di nuovo pieni, però di stranieri. Stavolta il personaggio epocale è il vecchio pescatore di Zelo, comune di Giacciano con Baruchella, provincia di Rovigo, che «tutto conosce di questo luogo: pesce per pesce, campo per campo. E ancora non sa come sia stato, come sia accaduto, di diventare minoranza etnica». Perché Zelo è ormai «una Chinatown in Polesine pieno. Niente si muove che non sia cinese. Cinese la ragazza in tunica gialla accucciata sul pontile, presa a telefonare. Cinesi i bambini che appaiono a intermittenza da quel balcone, cinese il genitore che li sgrida dall'interno. Cinese il barista dell'unico locale aperto».

Qui è Zamboni che parla, il vecchio punk che il tempo ha reso conservatore e che, da italiano nativo, da padre di famiglia, da proprietario terriero (di terre che anche per colpa delle talpe mangiacarciofi non rendono più niente), deplora l'invasione e il crimine ed esprime «la delusione di sentirsi abbandonati da chi deve sorvegliare». Perché le anime galleggiano ma i corpi, e i popoli, a volte affondano.

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