Dopotutto ogni Festival esprime lo zeitgeist, lo spirito del momento. C'è quello della polemica, quello dell'impegno, quello che cambia la storia della musica o del costume. Oppure quello che non cambia nulla, fa solo un clic della realtà che ci gira intorno. Il Festival numero sessantasette è stato la fotografia di questi mesi italianamente anestetizzati, quasi gentilonizzati o mattarellizzati. Sia chiaro: uno dei Sanremo più belli degli ultimi anni proprio perché ha lasciato fuori dalla porta la polemichetta politica necessariamente faziosa, lo scandaletto farfallizzato, vedasi Belèn (al massimo lo spacco della Leotta, insomma roba usa e getta).
E anche la canzone numero uno, non è un pianto d'amore né un urlo politico, è soltanto - e per fortuna - un brano positivo e divertente con un testo che invita all'analisi sì, ma non di quelle pallose cui segue dibattito. E che questo identikit sia realistico lo conferma pure il mondo più intasato di fango, ossia quello dei social, che ha messo il silenziatore alle armi per commentare puntata dopo puntata sparando solo sana ironia.
Non a caso, come ha detto ieri il dg Campo Dall'Orto, oltre al 58,4 per cento di share della finale, sono da sottolineare i 37 milioni di interazioni social, più i sette milioni e mezzo di video visti su Raiplay e i due milioni davanti alla diretta streaming. Cifre enormi che confermano una realtà praticamente imprevedibile fino a pochi anni fa: il Festival piace sempre più giovani.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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