Straordinario “Il traditore", film sul pentito Buscetta

Bellocchio torna al cinema civile con un film di grande livello, dotato di forza narrativa e documentaria, di corposi risvolti morali e di un intensissimo Favino

Straordinario “Il traditore", film sul pentito Buscetta

"Il traditore", il nuovo film di Bellocchio uscito nel giorno dell’anniversario della strage di Capaci, ha ricevuto dodici minuti di meritatissimi applausi al 72° Festival di Cannes.
Ripercorre due decenni di storia italiana incentrandoli sulla figura controversa di Tommaso Buscetta detto Masino, il boss dei due mondi che divenne il più famoso pentito di Cosa Nostra.
"Il traditore" si mantiene più neutrale possibile sul protagonista, evidenziandone il carisma ma anche le contraddizioni, le incongruenze e le ambiguità.
L'incipit ritrae i festeggiamenti di Santa Rosalia, nella Palermo del 1980, anno in cui la città è già la capitale mondiale dell'eroina. Due cosche rivali sembrano avere rapporti fraterni e non esitano a immortalarsi insieme in un'atmosfera che ibrida quella de "Il Gattopardo" e de "Il Padrino". Mossi da insaziabile avidità, i due gruppi diventano però presto i fautori di una guerra che, in un crescendo di efferatezze e vendette trasversali di raro sadismo, contempla il vicendevole sterminio. Da un lato ci sono i Corleonesi, capitanati da Totò Riina (Nicola Calì) , dall'altro le vecchie famiglie mafiose e, in sovrimpressione, durante le scene della mattanza, un contatore impazzito, quello dei morti ammazzati. Buscetta (Pierfrancesco Favino) si è rifugiato con buona parte della famiglia in Brasile, dove una pace apparente è interrotta dalla notizia dell'assassinio di Benedetto e Antonio (Gabriele e Paride Ciriello), i suoi figli rimasti a Palermo e che il suo sodale Pippo Calò (Fabrizio Ferracane), "passato al nemico", non ha protetto. Estradato in Italia, Don Masino rende al giudice Falcone (Fausto Russo Alesi) una confessione di 487 pagine piene di nomi, cognomi, abomini e complicità, in grado di metter in ginocchio Cosa Nostra. Il maxiprocesso che ne nascerà porterà all'incriminazione di 455 mafiosi e all'arresto di 366.
In un continuo mescolarsi tra passato e presente, Bellocchio, con regia lucida e attenta, dipinge un affresco articolato e verosimigliante, addentrandosi nella cronaca ma anche nella psiche di Buscetta. “Io non sono un pentito”, sono queste le orgogliose parole che l'ex boss non si stanca di ripetere durante quella che è la dissezione dall'interno dell'apparato criminale mafioso. Licenza elementare e precoci scelte sbagliate, tre matrimoni, otto figli, l’uomo si definisce un soldato semplice nella struttura gerarchica della cosca ma ha in realtà fondato un piccolo impero sul proprio magnetismo. Reo di enormi peccati, oscilla tra i sensi di colpa e la convinzione di restare un uomo d'onore, fedele a valori che ritiene invece traditi da Totò Riina. Opportunista e col talento per la menzogna, sa anche essere sincero e non manca di render conto alla propria coscienza dei fantasmi che gli appesantiscono il cuore.
Favino è eccezionale nel diventare letteralmente il personaggio, in ognuna delle diverse incarnazioni: vanesio un po' dandy, col vizio delle donne e della bella vita, poi uomo corroso da sogni mortiferi, infine esule con la paranoia di venir ucciso.
Nella parte centrale, la sezione giudiziaria del film, si assiste a una specie di versione teatrale di "Un giorno in pretura". L’aula bunker in cui si svolge il grande evento giudiziario e mediatico del Maxiprocesso, vede andare in scena un bestiario criminale in cui mafiosi di ogni foggia sfogano volgarità e isteria nei modi più grotteschi e folcloristici (oltre che in un siciliano veloce e strettissimo).
Denso di riferimenti storici e ricolmo di personaggi, "Il traditore" contiene sequenze di grande impatto visivo ed emotivo, ricostruisce anni tragici con cura certosina e trova anche il tempo di proporsi come riflessione filosofica sulla morte, "che arriva per tutti, arriva e basta".
Il cast meriterebbe essere menzionato per intero (cominciando dal sublime Lo Cascio), quanto alla colonna sonora di Nicola Piovani è innegabile costituisca un potente valore aggiunto.


Dopo alcuni titoli più deboli, Marco Bellocchio firma, in definitiva, una delle opere più importanti del nostro cinema dell'ultimo decennio: un film doloroso, commovente e crudele ma soprattutto con un appeal solido, tanto italiano quanto internazionale.

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