Strepitoso Mark Rylance uomo giusto tra barbari

È tratto dal romanzo omonimo del premio Nobel John Maxwell Coetzee, e ha tutti i requisiti per affascinare, non tanto il grande pubblico, ma quello spettatore che non si accontenta del cinema commerciale di evasione

Strepitoso Mark Rylance uomo giusto tra barbari

È tratto dal romanzo omonimo del premio Nobel John Maxwell Coetzee, e ha tutti i requisiti per affascinare, non tanto il grande pubblico, ma quello spettatore che non si accontenta del cinema commerciale di evasione, ricercando, sul grande schermo, spunti di riflessione non banali, autoriali. Non a caso, Waiting for the Barbarians è passato per Venezia (ma lo scorso anno), approdando ora, finalmente, nelle sale. La storia è quella di un Magistrato che amministra, senza particolari problemi, un piccolo insediamento di frontiera, baluardo tra la cosiddetta civiltà, ovvero l'Impero, e i barbari. Come nel romanzo, non si ha una collocazione storica o geografica perché, in fondo, non è tanto il chi o il dove che importano, ma il come. Il Magistrato, cui dà volto uno straordinario e mai abbastanza lodato Mark Rylance, riceve un giorno la visita di un Colonnello inquietante, comandante di polizia (mal reso da un Johnny Depp che, privato del suo solito campionario irritante di smorfiette, sembra un pesce fuor d'acqua nella parte). L'uomo, rigorosamente vestito di nero (hai visto mai che, per una volta, gli «stronzi» in divisa vestano un colore differente?), spietato oltre ogni misura, cerca di estorcere, superando il sadismo, delle «informazioni» da ignari prigionieri su un presunto imminente attacco dei barbari. Così non è, ma questo non vieta all'uomo e al suo fido assistente (Pattinson, incolore) di dipingere il pericolo come reale. Il Magistrato, uomo giusto, inizia a prendersi cura di una ragazza torturata, arrivando a compromettere la sua posizione per fare giustizia e riportarla nel suo mondo. Il regista Guerra offre la doppia lettura degli avvenimenti. Barbare possono essere entrambe le fazioni, a seconda di come si guardi e giudichi. Un po' come ai giorni nostri, dove si etichetta chiunque come antidemocratico, comportandosi peggio. In una sorta di «deserto dei Tartari», il ritmo lento non aiuta, ma il finale, spiazzante, vale l'attesa.

Pazienza che è un altro ingrediente del film: quella dell'Impero che aspetta la capitolazione del nemico e quella dei barbari, convinti che lo «straniero» mollerà il colpo, tornandosene a casa. La Storia ci ha detto che spesso è proprio così.

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