Travolta, festa in spiaggia per Grease: "Quel film è ormai patrimonio di tutti"

L'attore: "In scena ho imparato a essere me stesso, anche travestito da donna"

Travolta, festa in spiaggia per Grease: "Quel film è ormai patrimonio di tutti"

Quando Benicio del Toro - che a Cannes presiede la giuria della sezione «Un certain regard» - ha incontrato John Travolta non è andato molto per il sottile: «Tu sei la ragione per cui io faccio l'attore». Quello che fu Danny Zuko ha riso. Ma aveva capito che la colpa era di Grease. Correva il 1978 e Benicio il portoricano era una ragazzino come tanti, con i suoi undici anni sulle spalle e un fagotto di sogni. Per il ballerino americano invece era il quarto film di una carriera iniziata solo nel '75 che già vantava una direzione di Brian De Palma e un successo internazionale con La febbre del sabato sera. Grease è un film eterno. Tutti l'hanno visto e per tutti ha accompagnato un segmento di vita. Oggi è bagaglio collettivo ha spiegato ieri John Travolta incontrando un pubblico che rivedrà in serata sulla spiaggia del festival, dove la proiezione gratuita di questo classico del musical trasformerà il cinema all'aperto in una maxi discoteca per ogni età.

Ad ascoltarlo c'era anche il suo regista quel Randall Kleiser, oggi 71enne, che ha regalato al grande schermo anche Laguna blu. «La conseguenza di Grease - di cui ricorrono quarant'anni - è stata che da allora ho potuto scegliere le proposte» confessa Danny Zuko con onestà, perché ogni fase di vita ha la sua storia e lascia sempre un dono diverso. Nel '94 dopo Pulp fiction con Quentin Tarantino l'eredità ricevuta da Travolta è stata quella di essere diventato finalmente un attore. «Prima ero solo un ballerino». E non era certo limitativo, ma il suo nome era indissolubilmente legato a quei due capolavori che avevano fatto ballare i giovani di tutto il mondo. Non a caso dalla platea si alza una giovane donna francese: «Mi presento. Sono nata nel 1980. Il mio nome è Sandy e lo devo a lei. La persona che me lo ha dato, cioè mia madre, la trova di fianco a me». È bionda, non assomiglia a Olivia Newton John, ma ha lo stesso piglio sbarazzino e pulito. Non muove la gamba reclinata, battendo col tallone il pavimento, però gli occhi di un Danny Zuko ora brizzolato s'illuminano all'improvviso. «Vivi e sorridi, sei Sandy».

La serenità è qualcosa di inscindibile da John Travolta. Neanche i periodi più bui hanno saputo sfrattarla dal suo animo. «Dai registi con i quali ho lavorato ho imparato a essere me stesso. Senza condizionamenti. Lo sono stato in Vincent Vega per Tarantino e nell'Edna Turnblad di Hairspray-Grasso è bello per Adam Shankman. Ed ero una donna. In pochi mi hanno riconosciuto. Almeno allora». Oggi questo ragazzo di 64 anni ha ancora l'entusiasmo di Zuko e Manero, due che avevano fatto a pezzi cuori femminili a tutte le latitudini. E ora che è più saggio di allora rivela la sua ricetta. Avere fiducia e trasmetterla.

Confessa di averne ricevuta dai registi che hanno puntato su di lui e di aver contagiato i suoi figli e Kelly Preston, moglie e collega. Assicura che è il cemento della vita. E non solo della sua. Chi se ne sottrae è destinato a soffrire.

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