Venezia, il film di Polanski è un poderoso esempio di vero cinema

La nuova opera del controverso e geniale regista ricostruisce uno dei più clamorosi errori giudiziari della storia, il primo ad avere risonanza mediatica e a dividere l’opinione pubblica.

Venezia, il film di Polanski è un poderoso esempio di vero cinema

Il film con cui Roman Polanski è in concorso a Venezia, "J'Accuse - L’ufficiale e la spia”, è probabilmente ciò che s'intende per quintessenza del cinema, quello puro e immortale.

Dare a quest'opera la meritata attenzione comporta il fatto di glissare su tutte le polemiche che hanno accompagnato la presenza dell'83enne regista francese alla Mostra del Cinema e hanno visto schierarsi su posizioni opposte Antonio Barbera, Direttore della Mostra, e l’argentina Lucrecia Martel, Presidente di Giuria di quest'anno.

"J'Accuse", pur forte di una ricostruzione d'epoca magnificente e particolareggiatissima, nella struttura narrativa si presenta più simile a un thriller politico che a un film storico.

Siamo nel gennaio del 1895, quando nel cortile dell’École Militaire di Parigi ha luogo la cerimonia di pubblica condanna e d'umiliante degradazione inflitta ad Alfred Dreyfus (Louis Garrel), un capitano ebreo accusato di essere stato un informatore dei nemici tedeschi. L'uomo viene confinato sull’isola del Diavolo, nella Guyana francese, e il caso sembra archiviato. L'arrivo di George Picquart (Jean Dujardin) a capo della Sezione di statistica, la stessa unità del controspionaggio militare che aveva montato le accuse contro Dreyfus, farà la differenza: il militare si accorgerà, infatti, che il passaggio di informazioni al nemico non si è ancora arrestato.

Polanski, che ha scritto la sceneggiatura con Robert Harris, autore del romanzo da cui il film è tratto, ha di sicuro familiarità con il concetto di persecuzione ma sembra più interessato a esplorare quello di verità (fin dal primo fotogramma, che riporta in sovrimpressione l'autenticità dei personaggi e dei fatti a seguire).

La caratterizzazione del protagonista, Piquart, è tale da porlo come figura esemplare per le generazioni future, essendo un uomo che custodisce come sacro il senso dell'onore e che è pronto, pur di difendere la verità, a essere trasferito presso un reggimento africano e a finire in galera. Che la sua sia l'imperturbabilità che accompagna gli spiriti nobili, emerge nella scena in cui, rientrato nella propria abitazione, la trova violata e messa a soqquadro da una perquisizione che non lascia un angolo intonso. Ebbene, lui si siede al piano e inizia a suonare, come a rimpossessarsi di una centratura fatta di bellezza e armonia. Non gli importa di essere tacciato di servire un sindacato ebreo o della calunnia di aver falsificato delle prove, quanto che in tribunale emerga bene la differenza tra chi ha scelto di servire principi inviolabili e chi, invece, superiori fallibili.

L'esercito in cui crede non è quello che pretende un'obbedienza talmente cieca da rendere lecito insabbiare ciò che potrebbe mettere l'istituzione in ridicolo. Né la sua idea di giustizia contempla che un giudice sia dispensato dall'ammettere di aver fatto un errore. A parer suo, non è la fiducia nei capi a dover essere intoccabile, ma la sorte di un innocente.

Oltre che di valori imperituri e pronunciati con solennità, "J'accuse" è un film fatto di rumori di passi e frammenti di lettere, di grandi archivi militari e piccoli scorci alla Monet.

La ricostruzione, dalle scenografie alle sonorità, è superba e al servizio di una verosimiglianza meravigliosamente maniacale.

Insomma, lunga vita a chi sa fare dell'arte un piacere per gli occhi e per lo spirito.

"J'accuse" sarà nei cinema italiani dal 21 novembre col titolo “L’Ufficiale e la spia”.

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