Wagner e l'arte sublime che salva la religione

Il grande compositore considerava il "Parsifal" un "dramma mistico". E contro il nichilismo

Da Wikipedia
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«Si potrebbe dire che, là dove la religione diviene artificiosa, sia riservato all'arte di salvarne il nucleo sostanziale, penetrandone i simboli mitici - che questa pretende che vengano creduti come veri nel senso letterale del termine - secondo i loro valori simbolici, onde riconoscere attraverso la loro ideale rappresentazione la reale verità che in essi si nasconde».

Così Richard Wagner (Lipsia, 1813 - Venezia, 1883) prendeva posizione in un acceso e vasto dibattito culturale nella Germania del secondo Ottocento che conta ben quaranta interventi, raccolti in un libro che mancava da tempo dalle nostre librerie, e ora viene finalmente ripubblicato: Richard Wagner, Religione e Arte (Iduna, pagg. 172, euro 18). Si percepisce l'intensità del problema, ma anche la provvisorietà dello scritto, che è l'ultimo di una significativa attività saggistica del grande musicista tedesco. La pubblicazione dei primi capitoli risale al 1880. Il 13 febbraio 1883 a Palazzo Vendramin-Calergi, a Venezia, Wagner era impegnato a una integrazione al testo dal titolo: Del femminino nell'umano. Sul foglio scrive «Liebe-Tragik», «amore-tragedia». Poi sopraggiunge imprevista la morte. Così muore un artista, concependo un'endiadi che ancora ci turba e commuove.

Il saggio wagneriano fa parte del corpus dell'attività tarda, quella culminata nel Parsifal (l'ultimo dramma musicale del compositore, andato in scena il 26 luglio 1882 al Festival di Bayreuth diretto da Hermann Levi, ma rappresentato per la prima volta nei teatri europei solo a partire dal 1914). «Ein Bühnenweihfestspiel», «Una Festa Scenica Sacra» o più comunemente «dramma mistico», che è il principale impegno wagneriano per collegare l'arte con la religione, giungendo a una sacralizzazione dell'opera.

Si sa che in Germania alla fine della rappresentazione il pubblico esce in silenzio, senza applaudire. Nella nostra epoca in cui si applaude continuamente anche in chiesa - persino a un funerale... - la sobria compostezza wagneriana fa riflettere che un'alternativa è ancora possibile. Il musicista percepiva profondamente la sacralità del Parsifal: «Io debbo cercargli una scena - così scrive al Ludwig II di Baviera, nel 1880 - a cui consacrarlo; e questa può essere solo il mio Bühnenfestspielhaus a Bayreuth. Soltanto ed esclusivamente là dovrà rappresentarsi il Parsifal in ogni tempo futuro». E la sua volontà fu rispettata a lungo (per una ventina d'anni).

Dietro il testo wagneriano - come illustra nella intrigante e ricca prefazione Giovani Sessa, che concorda con la nota del traduttore Guido Cogni - si percepisce l'influsso del «maestro», cioè di Arthur Schopenhauer (1788 - 1860), mentre si comprende anche la disperata delusione di Friedrich Nietzsche che parla di Wagner, per anni venerato come l'artista dei tempi nuovi, come «accasciato ai piedi della croce». Probabilmente - e il lettore del saggio se ne avvede - Wagner lavorava al nodo centrale della modernità: nell'epoca oscura del nichilismo compiuto, è possibile intuire una via di salvezza senza scadere nel kitsch della New Age? L'indicazione è il ritorno a un'esperienza laterale del cristianesimo: a quella del Graal, il grande mistero cristico che animò l'intero Medio Evo cristiano-germanico, con i miti del ciclo arturiano. Il messaggio recuperato da Wagner è quello di un salvatore che elude la consunzione della critica materialistica avanzando verso un sentiero appena accennato che in quegli anni venne riproposto dalla Teosofia e soprattutto da Rudolf Steiner (in Italia da Julius Evola e soprattutto da Massimo Scaligero). Il saggio wagneriano è il principale contributo alla sua teoria della Rigenerazione, che presenta aspetti sorprendentemente green («il prato verde» di Monsalvat), con la pratica del vegetarianesimo e della «compassione» - buddhista - verso gli animali.

Ma il vero nucleo dell'opera è adombrato dalla salvezza di Amfortas, Signore del Graal, toccato dalla Sacra Lancia (vale a dire quella dell'Arcangelo Michele e di Longino).

La scena culmina con la possente esclamazione finale: «Miracolo d'altissima salute!/ Redenzione al Redentore». Una speranza che è un mistero e un mandato: ecco l'estrema intuizione wagneriana: «Liebe-Tragik», «amore-tragedia».

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