Spinetta voleva la compagnia per cucinarla alla francese

Oh! Ma che bravo è Spinetta! Oh! Che pasticci combina Berlusconi! La clamorosa sconfitta elettorale del centrosinistra ha un po’ attenuato il solito coro sugli errori di Silvio Berlusconi. Ma nel sottofondo la musica dei «soloni» è questa. Che Jean-Cyril Spinetta presidente di AirFrance sia bravo nessuno lo mette in dubbio. Ma è un ottimo dirigente di una compagnia in cui lo Stato francese mantiene una solida presenza, il che non sempre coincide con gli interessi italiani. Il manager francese, poi, ha adottato in questi mesi comportamenti che non appaiono del tutto trasparenti: verso metà marzo ha fatto sapere che la trattativa non si poteva concludere prima delle elezioni perché serviva una controparte nella pienezza dei poteri. Poi, viste le condizioni che gli stava facendo il governo Prodi, ha accelerato i tempi dell’accordo, tentando di trovare un’intesa con i sindacati che vincolasse le scelte future. Ha fissato date ultimative, che in seguito si è rimangiato. Insomma è sembrato cavalcare più che «le libere forze del mercato», cantate dai suoi apologeti, le concrete possibilità offerte dalla politica. L’improvvisa e finale (?) rottura pare essere determinata dal fatto che il premier in pectore Silvio Berlusconi si sia tenuto, anche grazie al recente incontro con Vladimir Putin, qualche via di uscita. L’impressione generale è che il bravissimo manager francese abbia accettato di impegnarsi in una discussione sui termini di vendita della compagnia aerea di bandiera italiana, solo se poteva controllare anche la concorrenza. D’altra parte un anno e passa di gestione prodiana del caso Alitalia ha questo segno: si parte con un’asta a cui partecipano vari soggetti (tra cui Aeroflot, Tpg e altri) che viene fatta fallire per i paletti messi sui livelli di occupazione. Poi, fallita l’asta, si consente alla sola AirFrance una due diligence e si rimuovono i paletti precedentemente fissati.
I pasticci di Romano Prodi nel mescolare sogni di egemonia personale (e dei suoi amichetti) sull’economia italiana con intrecci coi vari governi sono evidenti a tutti: ne sanno qualcosa i Benetton, Telecom Italia e altre imprese nazionali. Anche Alitalia era finita in queste trame poco chiare. Ma l’operazione è andata a sbattere contro una realtà non rimovibile. La nostra compagnia di bandiera non rappresenta solo una normale attività economica ma è anche tassello di un’organizzazione dei trasporti che ha valore strategico per l’insieme del sistema produttivo nazionale, a partire dal Nord. Quando nella trattativa su Alitalia hanno iniziato a emergere le questioni connesse, a cominciare da quella dei diritti di traffico verso due terzi del mondo che Parigi voleva gestire secondo le sue logiche di sviluppo (partendo dal destino dello scalo Charles De Gaulle e da quello da lanciare di Lione) una parte fondamentale dell’economia nazionale si è resa conto che si andava incontro a una sconfitta strategica e si è ribellata, anche con il voto - come si è visto - del 13 e 14 aprile.
Comunque non si riparte da zero, le trattative con AirFrance hanno fissato condizioni pure sindacali che varranno nelle prossime soluzioni per Alitalia. E nel frattempo l’Expo 2015 a Milano ha dato alla Malpensa valore ancora più strategico.

Si pensi che i turchi, se avesse vinto Smirne, volevano costruire un aeroporto per 50 milioni di passeggeri annui. Insomma le carte sono in tavola e questa volta non si potrà non concludere la trattativa per i nuovi assetti di Alitalia.
Lodovico Festa

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