Addio Mr. Valanga Azzurra«Quando Cotelli mi disse: ma chi l'ha presa questa?»

Fece dell'Italia maschile una potenza. Però delle sciatrici dichiarò: «Sono grasse e non s'allenano»

di Maria Rosa Quario

Riposa in pace Mario, ammesso che là, dove sei ora, tu sappia cosa sia la parola pace. Mario Cotelli, leggendario direttore tecnico della Valanga Azzurra, se n'è andato ieri, dopo un improvviso aggravarsi della malattia (problemi di cuore, più recentemente insufficienza renale) che da molti anni lo affliggeva e teneva lontano da quella ribalta che aveva sempre cercato e facilmente trovato. Personaggio vero Mario Cotelli, di quelli che comunque vada fanno parlare di sé, di quelli che danno sempre il titolo, scrivono (lo ha fatto a lungo per il Corriere della Sera) e creano la polemica. Mai tenero, mai comprensivo, soprattutto con quel mondo che lo aveva reso celebre e forse, alla fine, lo aveva scaricato come non avrebbe dovuto. Dici Cotelli e pensi a Gustav Thoeni, a Pierino Gros, a Herbert Plank e a tutti gli altri grandi campioni della neve che negli anni Settanta hanno lanciato lo sci. Anni di boom economico, di scoperta delle vacanze in montagna e di quegli attrezzi che facevano divertire scivolando sulla neve. I suoi atleti vincevano e stravincevano, Oreste Peccedi li allenava in pista e stava nell'ombra, Mario appariva e diventava sempre più famoso. Ai giorni nostri sarebbe stato un re dei social, sapeva bene come colpire con la parola giusta e la frase a effetto, sapeva anche gestire le situazioni come nessun altro.

Non per niente in quegli anni l'Italia dello sci era una potenza mondiale e aveva autorità nel prendere decisioni, ad esempio far partire una gara o meno e far preparare una pista in un certo modo. Mario non si tirava mai indietro se c'era da dare una mano ai suoi ragazzi, ma anche con loro le polemiche e gli scontri non mancarono, perché lui era un combattente e voleva sempre avere l'ultima parola. Che a volte poteva anche ferire. Ricordo la prima volta che lo vidi, avevo 13 anni ed ero al primo raduno con la squadra nazionale al Plateau Rosà. «Viene Cotelli a guardarvi ragazze, mi raccomando, rispetto e concentrazione!» ci aveva detto l'allenatore. Arrivò il mio turno di mostrare quel che sapevo fare sugli sci. Dieci, venti curve ed eccomi al suo cospetto, in fondo alla pista. Mi guardò con aria schifata e mi gelò: «Ma chi è questo stoccafisso, chi l'ha presa in squadra?». Ci rimasi male, ma non mi feci abbattere e anzi, di quel gruppo fui la sola a fare strada. Memorabile poi fu la risposta a quel giornalista che gli chiese come mai le donne stentavano a fare risultato. «Sono grasse e non si allenano», disse, dimenticando forse che le tre migliori dell'epoca, Claudia Giordani, Wilma Gatta e Cristina Tissot erano magrissime e si allenavano come se non più degli uomini.

Ma averne di personaggi così, averne al posto di certi mollaccioni che alle riunioni importanti non aprono bocca.

Non per niente, a quarant'anni dal suo «ritiro agonistico», siamo qui a parlare di lui, di un uomo che ha lasciato il segno nella storia dello sci per il suo coraggio, le sue idee, le sue intuizioni che lo hanno reso grande anche come imprenditore, consulente, promotore e insomma, come uomo. Riposa in pace, caro Mario.

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