Si corregga l'aforisma di Ennio Flaiano: la situazione non è seria ma è grave. La comica finale della SuperLeague ha fatto tornare alla mente il golpe Borghese, ridotto in una sola notte di dicembre di cinquant'anni fa. La storia è meno drammatica anche se il popolo ha riempito le piazze, i tumulti hanno trovato l'approvazione, se non lo stimolo, dei vari governi e, alla fine, al centro della scena è rimasto un uomo solo e nemmeno al comando. Andrea Agnelli è una statua di cera, battuto e umiliato da quella sporca dozzina che lo ha mandato avanti, come si usa dire nelle battute, per poi svignarsela all'arrivo della polizia; il presidente della Juventus si è esposto, anche troppo, è caduto nella trappola, non prevedendo, come gli altri suoi sodali d'avventura, quali sarebbero stati i rischi mediatici, sociali e politici della scelta. Non è una novità che la sua comunicazione sia l'anello debole di una missione invece confortata da risultati tecnici strepitosi, i nove scudetti consecutivi e altri gol ottenuti ma non in campo contabile, là dove, proprio il progetto superlega, la sua urgente necessità, ha ribadito la crisi e il crollo finanziario del sistema. Mal consigliato, come in altre occasioni, il presidente tifoso ha perso l'equilibrio che un grande manager dirigente, con alle spalle la storia della sua famiglia dovrebbe, anzi deve avere.
Oggi la posizione di Andrea Agnelli non può essere solida e sicura perché il contraccolpo all'immagine della Juventus è pesantissimo, ancora più serio di quello che la portò alla retrocessione, quindici anni fa, per le vicende dette di calciopoli. Allora esistevano due partiti, gli innocentisti e i colpevolisti. Stavolta non ci sono correnti che possano giustificare l'errore grossolano, non nell'idea del nuovo torneo, ma nel tempo scelto per comunicarlo e nei comportamenti tenuti nei confronti degli altri partecipanti, in Italia e in Europa. Agnelli, definito traditore da Ceferin e Giuda da Cairo, e cito due figure sulle quali si potrebbe aprire un dibattito eterno e pieno di interrogativi pruriginosi, Agnelli insultato, dunque, da due presidenti, oltre che da un coro di partigiani dell'etica, nulla ha a che fare con la tradizione di un casato che ha dovuto sopportare e superare momenti peggiori per affrontarli con la discrezione e il cinismo tipico di quel gruppo. Anche le voci sulle sue dimissioni, poi smentite, così come quelle di un fuoco amico (Alessandro Nasi pronto a prenderne il posto alla guida del club) fanno parte di un clima che prima non si era mai respirato e che ha validi motivi di persistere. John Elkann è un imprenditore di censo e visione internazionale, cura con attenzione i rapporti politici ed economici, mai si sarebbe fatto coinvolgere in una vicenda che, al di là degli aspetti finanziari, tocca i fili scoperti del popolo dei tifosi, soprattutto quelli avversari che, come si sa, altro non aspettano dalla fondazione, pur di attaccare la Juventus. Il crollo del titolo in Borsa, dopo l'euforia di lunedì, è un altro indice del termometro che riguarda il club. I giornali europei hanno indicato proprio in Agnelli l'artefice, insieme con Perez, di questa commedia grottesca, la scelta di rilasciare un'intervista in esclusiva a due quotidiani italiani, Repubblica e Corriere dello Sport, invece di utilizzare, come ha fatto Florentino Perez, una emittente televisiva, da Rai a Sky a Mediaset a La7 del suo collega Cairo, con un bacino più ampio e un contradditorio valido, ribadisce una miopia e un'infantile e capricciosa forma di comunicazione che non appartenevano certamente né a suo padre, né a suo zio. Nessuno può conoscere e nemmeno prevedere quale possa essere il futuro prossimo del presidente. Sul tavolo c'è una criticità del quadro tecnico e una drammatica fase di quello economico finanziario, il momento suggerisce grande riflessione e massima prudenza, vale a dire le doti che sono mancate totalmente nella gestione del progetto superlega, nella quale sono state invece utilizzate parole e comportamenti superati e bruciati nel momento stesso in cui venivano pronunciate e adottati. La lezione è stata severa, l'ammissione di avere commesso un errore è arrivata soltanto dopo la fuga ipocrita dei don Abbondio compagni di avventura. La strada di Agnelli ha due vie di uscita: essere sollevato dall'incarico (come accadde con Montezemolo e tutto il cda azzerato dall'Avvocato) o lasciare il passo a chi possa affrontare serenamente il momento di svolta. La seconda, difficile da realizzare visto il carattere, sarebbe di grande dignità. «Il calcio è un'industria», ha detto Andrea Agnelli.
Voglio ricordare queste parole: «La Juventus è un modo di essere, di esprimersi e di emozionarsi, vivere insieme a tanti altri la stessa passione per il calcio, possibilmente per il bel calcio. Una passione che ha unito e unisce persone di città, condizione sociali, fedi politiche diversissime. Ieri in Italia, oggi in tutto il mondo» (Umberto Agnelli, 1934-2004).
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.