Lo sappiamo da tempo: sono i corridori a fare la corsa, il problema sorge quando non ne hanno voglia. Quando cominciano a fare tutta una serie di distinguo: se piove troppo, se fa eccessivamente freddo, se ci sono troppo discese pericolose e ghiacciate, se si va troppo in alto e via elencando. Il Giro d'Italia è davvero lo specchio del nostro Paese: in un perenne stato di emergenza e instabilità. Gli organizzatori presentano un Giro e poi se ne corre un altro. Quella che si sarebbe dovuta correre ieri era la seconda tappa montana, dopo quella sul Gran Sasso a Campo Imperatore, mortificata sempre da loro dai corridori che l'hanno affrontata a ritmo di gita, per via del vento troppo forte, ecco Crans Montana senza il Gran San Bernardo (cima Coppi). Siamo alla farsa: dal tappone alpino di 199 km alla tappetta oltreconfine di 74, con tanto di via dimostrativo di 200 metri prima di salire sui motorhome. Ieri non c'era vento, ma pioggia in partenza. Freddo (12°) ma non freddissimo. Discese bagnate. E come accade quasi sempre al Giro, ecco che arrivano puntuali le richieste dei corridori che chiedono agli organizzatori l'accorciamento della tappa e di conseguenza l'applicazione dell'Extreme Weather Protocol, il protocollo per le situazioni meteo e ambientali al limite (c'è anche il capitolo inquinamento). Da una parte il sindacato mondiale dei corridori presieduto da Adam Hansen, il successore di Gianni Bugno, ieri non presente e rappresentato da Cristian Salvato, presidente nazionale. Dall'altra Mauro Vegni, direttore del Giro. E come sempre in questi casi, regna il mistero. Le decisioni vengono prese dallo Spirito Santo: il 90% dei corridori a scrutinio segreto vota per l'accorciamento, ma davanti ai microfoni si dicono quasi tutti contrari. Gli organizzatori, che si prestano al massacro, non ne escono meglio.
Tra i più duri e sinceri, Gianni Moscon. «È vero, c'era il maltempo, ma per me si poteva correre, poi se qualcuno voleva fermarsi poteva farlo. Non ce l'ha ordinato il dottore di fare i ciclisti professionisti», spiega il corridore dell'Astana. Anche Stefano Garzelli, vincitore del Giro 2000 e commentatore di Raisport, critica la decisione: «A mio parere non c'erano le condizioni per applicare il protocollo».
D'accordo, invece, la maglia rosa Geraint Thomas: «Penso che sia stata presa una buona decisione». Per la cronaca, ma non per la storia, vittoria per il colombiano d'Italia Einer Rubio. Per il resto, tutto resta uguale. Anche quel senso di inadeguatezza che da giorni si respira in gruppo.
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