Il mondo al contrario in un paio di settimane, se pensiamo che solo 15 giorni fa (Parma-Atalanta, 23 novembre) Gian Piero Gasperini è stato cacciato dall'arbitro finendo poi per prendersi due giornate di squalifica per epiteti vari indirizzati al quarto uomo. «Diciamo che stando in tribuna ero un po' più tranquillo» ha detto venerdì sera, mentre il suo collega Paulo Fonseca sputava fuoco e fiamme contro il direttore di gara nel suo pittoresco italportoghese. Ed in effetti la sua era proprio la tranquillità dei forti. Talmente forti che la parola scudetto a Bergamo non si nasconde più: «Lasciamoglielo dire ai tifosi. Ma si sa che qui i tifosi sono anche degli intenditori» ha detto il Gasp ridendo sotto i baffi che non ha. Insomma: dimenticatevi il «Gasperini contro l'arbitro», topic sempre di tendenza se lo andate a digitare sul web. Dimenticate il tecnico per cui l'Atalanta aveva sempre qualche nemico nel Palazzo, e forse non solo per una notte sola. Perché appunto l'arte del mugugno non si addice alle grandi, e questo è un segno che adesso l'Atalanta fa davvero sul serio, che non è in cima alla classifica (seppur temporaneamente) solo per caso. E non sono solo le nove vittorie consecutive, ma è anche come queste vittorie sono arrivate, soprattutto quella contro il Milan: spettacolare quando è servito, di sacrificio in alcuni momenti, cinica come fanno le grandi. Quelle appunto che puntano al massimo.
Una vittoria da scudetto, diciamolo, e in questo mondo rovesciato probabilmente Gasperini ha (forse) imparato che urlare non serve: a quello ci pensa ora Fonseca, perché il nemico è sempre alla porta. Soprattutto quando ci si accorge improvvisamente di essere diventati più piccoli.
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