In Premier league comandano i club e non le aziende sanitarie locali. Nemmeno il ministro dello Sport o il collegio del Coni che, sull'isola della regina, non recitano un ruolo plateale come nei nostri cortili. Everton-Manchester City, programmata ieri sera, è stata rinviata per la presenza di sei casi di positività al coronavirus nella squadra e nel club di Guardiola, due (Gabriel Jesus e Kyle Walker) già segnalati alla vigilia del boxing day natalizio e altri quattro che si sono aggiunti. La richiesta avanzata dal City ha trovato immediata adesione dell'Everton, anche Ancelotti ha un paio di problemi non precisamente legati al covid 19, in un caso si tratta addirittura di un attacco di panico notturno. Le parti hanno trovato l'accordo in minuti due, il board della Premier ha accolto la richiesta sottolineando che prima di tutto venga la salvaguardia della salute dei calciatori e dei componenti dello staff. Non ha rinviato la decisione ad altre commissioni, non ha sentenziato la sconfitta a tavolino, non è stato necessario convocare le parti o aprire un'inchiesta, l'intelligenza e la saggezza, insieme con la logica, hanno avuto la prevalenza sulla burocrazia e sul bizantinismo che invece hanno reso ridicole alcune vicende italiane. Pep Guardiola si era già lamentato per il calendario ossessivo in un periodo già critico e ieri ha chiarito che «il virus non è un problema del Manchester City ma mondiale, i calciatori sono i primi a comprendere questa situazione, chi è contrario avrà problemi propri di cui non mi occupo».
Carlo Ancelotti è dello stesso parere, l'Everton giocherà l'1 gennaio contro il West Ham mentre il City deve ancora capire, nelle prossime ore, se potrà avere a disposizione l'organico al completo. Nessuna polemica, nessuna sommossa di popolo, nessuna rissa televisiva. Una lezione di civiltà sportiva e di rispetto delle parti. Per chi ha voglia e capacità di comprenderle.
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