La domanda ora è questa: sarebbe giusto attendere, sperare, invocare per le prossime quattro gare un immane disastro in casa Mercedes-Hamilton per rimettere in corsa per il titolo questa Ferrari e questo pilota? Anche il tifoso accanito dovrebbe avere il buongusto di rispondere di no. Perché questa Rossa e questo Vettel non lo meriterebbero. La Mercedes, turandoci il naso pensando ai molti favori ricevuti quando non era ancora über alles e a certi manettini di cui ha avuto a lungo l'esclusiva, ora che a smanettare sono tutti ha dimostrato e dimostra solidità di squadra e di uomini. E questa squadra e questi uomini meritano il titolo ipotecato ieri mattina a Suzuka quando un iniettore della Ferrari ha fatto le bizze, una candela si è presa tutte le colpe e un pilota perfettibile come Seb ha detto l'unica cosa veramente sincera: «Siamo stanchi».
Mondiale addio, dunque. Salvo catastrofi altrui. Seb ko al quinto giro ma con la macchina a cinque cilindri già prima del via. Lewis trionfatore, poi le due Red Bull, poi l'altra Mercedes, poi il sempre più spento Raikkonen. Ad Austin, fra due settimane, Hamilton potrebbe già festeggiare il quarto mondiale di fila, affiancando su questo podio privilegiato proprio Vettel e Alain Prost. «Non bisogna essere geni della matematica per capirlo, ma quello che dobbiamo fare adesso» ha ammesso il tedesco, «e l'ho detto anche ai ragazzi del team, è tornare a casa e riposarci. I meccanici sono stanchi, il team è stanco...».
La stanchezza. Tema curioso in F1. Non perché non esista, ma perché in un mondo squalo come questo nessuno ne parla in quanto sinonimo di debolezza. La resa di Vettel sta anche in questa sincerità mista, c'è da giurarci, al desiderio di mandare un segnale di conforto al team e alla fabbrica e però un avvertimento ai vertici. Nel senso del presidente Marchionne che da Monza era andato via dicendo che gli giravano e dopo la Malesia aveva preannunciato riorganizzazioni. Ovvio, allora, che a Maranello siano sotto stress e preoccupati. Per la verità è da mesi che si rincorrono voci di un clima non proprio idilliaco nel reparto corse in fabbrica. Solo indiscrezioni, solo pissi pissi, magari e probabilmente persino solo malignità. Ma qualche perplessità viene se un quattro volte campione del mondo inizia a correre in modo isterico, a Singapore chiude il rivale come fosse la gara della vita, in Malesia si addormenta nel giro di rientro e a Suzuka, appena ritirato, parla di stanchezza. Fermo restando che ovunque si annuncino riorganizzazioni non è che si lavori a meraviglia, felici e distesi.
La sensazione è dunque che il mondiale stia scivolando via - è praticamente lontano anni luce, 59 i punti tra Seb e Lewis - non perché la Ferrari non sia al livello della Mercedes, ma perché il clima in cui lavorano gli uomini della Rossa non è paragonabile a quello dei mangiacrauti. E dire che lambrusco, ravioli e gnocco fritto sono molto meglio. Il collettore difettoso in Malesia, la candela e l'annesso iniettore di ieri, sembrano tutti problemi che trovano origine nel come si lavora. Concetto riassunto da Vettel con la parola stanchezza. Forse l'abbiamo dimenticato: ma a fine luglio, a Budapest, Seb aveva lo sterzo difettoso quando vinse solo perché protetto da Raikkonen; e a Monza l'assetto era sbagliato. A Singapore è arrivato poi il suicidio di Vettel e Kimi. E in Malesia il collettore rotto per entrambi.
Dulcis in fundo, ma è successo prima di tutto, a fine giugno, quando la Ferrari era in vetta con 14 punti di vantaggio, venne spostato altrove il papà del super motore del Cavallino. Ricordiamolo quando invochiamo immani disastri in casa Mercedes e ci tocca ascoltare Hamilton dire della Ferrari «a Singapore un errore, poi problemi di affidabilità... Chi sopravvive è il più adatto alla F1».
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