Esattamente cinque anni fa l’indistruttibile Giorgio Chinaglia fu tradito dal proprio cuore. La notizia mi arrecò un sentimento di inaspettato dolore e di amarezza per il tipo di morte, in tono minore, non degna di una vita vissuta sempre al confine estremo degli eccessi e delle regole. Un contrappasso esagerato, forse immeritato
Ma che c’entri tu con Chinaglia, che sei nato nel 1990 e sei cresciuto con i trionfi della Lazio stellare di Cragnotti e non hai vissuto quelle folli, strampalate, straordinarie stagioni della banda Maestrelli? Aspettate signori, Chinaglia vive nei libri che ho letto, nelle immagini che ho gustato, nei ricordi di una giovane ragazza invaghita di quel ragazzone che scorazzava, sgomitava, rideva, stendeva, travolgeva compagni e avversari; negli occhi di un ragazzo che tirava il petto in fuori seguendo con lo sguardo il dito indice puntato nei confronti dei cugini e il piedone che spuntava dalla panchina per provocarli; nelle parole di un signore adulto che poteva girare per Roma ostentando superiorità dopo alcuni anni di predominanza giallorossa.
Possente, affascinante, arrogante, spavaldo di essere, temerario, corteggiato da donne e circondato da nemici, dietro a questa maschera da duro e puro nascondeva il suo sorriso da gigante buono, da ingenuo, da amico generoso. La sua fisicità mi ha sempre ricordato Tex Willer e i suoi celebri cazzottoni. Non a caso Long John resterà nella storia anche per le scazzottate stile saloon, per il calcione rifilato all’indolente D’Amico, per il “vaffa” (Grillo è arrivato molto dopo) nei confronti del Ct Valcareggi e per la sua irruente gestualità. Altro che Balotelli.
Precursore, perché oltre ad aver trascinato la Lazio verso il suo primo scudetto, fu uno dei primi calciatori a trasferirsi in America, precisamente nei New York Cosmos. Quanti giocatori a fine carriera migrano e vanno a far parte di movimenti calcistici emergenti? Oggi è una tendenza, all’epoca fu atto pionieristico.
Andò oltre, perché con il suo esempio diede un contributo fondamentale alla creazione del dna del popolo laziale. Fece maturare uno spirito, un sentimento, un riconoscibile segno distintivo comune e soprattutto la volontà di autocrearsi attorno ad alcuni specifici valori, come la spavalderia forzata da autodifesa, perché essere laziali a Roma è un percorso spirituale alto, ma per viverlo bisogna avere la possibilità di farlo.
In vita se ne è andato da solo, ma quel nome e quella faccia da quel giorno sono diventate Cultura, fissate per sempre nell’immaginario collettivo e nella storia della Lazio e del calcio italiano.
Long John è universalmente riconosciuto nell’Olimpo pagano del calcio e la sua storia sconfina nell’epica.E allora, oggi come cinque o cinquanta anni fa, e per l’eternità, ogni Laziale tramanda di padre in figlio il coro più bello del mondo:” Giorgio Chinaglia è il grido di battaglia!”
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