Roma. Processo riaperto, ma solo per la Juventus. E concluso - almeno per ora - con una stangata che riporta all'epoca di Calciopoli. Quindici punti di penalizzazione nella stagione in corso per la vicenda plusvalenze fittizie, una sentenza inattesa anche alla luce della requisitoria del procuratore federale Giuseppe Chinè, che ne aveva richiesti «solo» 9. Quindi, non solo è stata accolta l'istanza del pm del pallone sulla riapertura del processo, ma sono stati valutati come validi elementi di prova che dimostrassero «la sussistenza degli illeciti» gli atti dell'inchiesta Prisma arrivati dalla Procura di Torino. La Juve, in un comunicato, ha già annunciato ricorso. «La pena deve essere afflittiva, in classifica deve finire ora dietro la Roma, fuori dalla zona delle Coppe Europee», aveva tuonato Chinè durante il suo intervento. Si è andati oltre: la Juventus scivola da 37 a 22 punti, gli stessi di Bologna ed Empoli, in pratica a centro classifica. È un vero e proprio tsunami sul campionato e sul futuro del club, ora atteso da un possibile secondo processo sportivo, derivato dai nuovi atti, oltre alle possibili sanzioni minacciate dall'Uefa. Stangata anche per i dirigenti: le richieste di Chinè erano state più alte rispetto a quelle del precedente processo, la Corte a sezioni unite presieduta da Mario Luigi Torsello le ha rese ancora più dure. Inibizioni di 24 mesi ad Andrea Agnelli, 30 a Fabio Paratici, 16 a Federico Cherubini (per tutti con richiesta di estensione in ambito Uefa e Fifa), 8 per Pavel Nedved, 24 per Mauro Arrivabene. Ci sono volute poco più di sette ore tra udienza, requisitoria del procuratore federale, interventi dei legali di 9 club e 52 dirigenti e camera di consiglio della Corte d'appello federale per arrivare al dispositivo finale. Intercettazioni e documenti tra cui il cosiddetto «libro nero» di Paratici, che la Procura federale non poteva avere a disposizione nel primo processo («solo un appunto su foglio A, come spiegato dal manager Cherubini», lo avevano definito i difensori della Juve), sono stati evidentemente decisivi per il cambio di rotta. Un successo al di là delle aspettative per Chinè dopo la «sconfitta» di otto mesi prima. Nel botta e risposta fra le parti, il capo della Procura federale aveva evidenziato che le plusvalenze contestate servivano a coprire le perdite; i difensori della Juve Bellacosa, Sangiorgio e Apa - collegati in videoconferenza insieme al neo presidente Ferrero e a due dei dirigenti oggetto dell'indagine, il ds Federico Cherubini e l'ormai ex Fabio Paratici - avevano ribattuto che negli anni di riferimento la società aveva versato 700 milioni di aumenti di capitale e che quelle plusvalenze, 60 su 323 milioni totali, rappresentavano solo il 3,6% dei ricavi (1.675 milioni). «Nulla dimostra poi artificiose sopravvalutazioni dei diritti alle prestazioni sportive dei calciatori», avevano precisato i legali bianconeri. Che in serata, in un comunicato, hanno parlato di «palese disparità di trattamento ai danni della Juventus e dei suoi dirigenti rispetto a qualsiasi altra società o tesserato. Attendiamo di leggere con attenzione le motivazioni (attese entro 10 giorni, ndr) per presentare il ricorso, tuttavia evidenziamo che alla sola Juventus e ai suoi dirigenti viene attribuita la violazione di una regola che la stessa giustizia sportiva aveva ripetutamente riconosciuto non esistere. Riteniamo che si tratti di una palese ingiustizia anche nei confronti di milioni di appassionati, che confidiamo sia presto sanata nel prossimo grado di giudizio».
Ovvero il Collegio di Garanzia del Coni che, essendo un organo che può decidere solo sulla legittimità di una sentenza, non ha la possibilità di diminuire l'entità della sanzione: potrà solo confermare o cancellare il verdetto della Corte d'appello federale. Nessuna sanzione per le altre società (Sampdoria e appunto Empoli di A, Parma, Genoa, Pisa di B, Pescara e Pro Vercelli di C e il «vecchio» Novara) e i loro dirigenti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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